L'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller precisa la dottrina cattolica sul matrimonio e sui divorziati risposati e fissa i paletti di ogni futura discussione in merito.

I paletti di ogni discussione futura




L’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller è il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che decide su questioni di dottrina. Su L’Osservatore Romano del 27 ottobre scorso, egli ha scritto un lungo articolo sul problema dei divorziati rispostati. Data l’autorevolezza dell’autore questo articolo deve essere considerato più di un semplice articolo.

La questione dei divorziati risposati

Come è noto, i divorziati sono in aumento. Aumentano anche i divorziati risposati i quali non possono accostarsi alla Comunione. Attenzione: non si tratta dei divorziati, ma dei divorziati che si sono poi risposati. Il matrimonio, secondo gli insegnamenti di Gesù, è indissolubile. Non ci si può, quindi “ri-sposare”. Nei loro confronti la Chiesa ha sempre detto che non devono essere esclusi dalla vita della comunità cristiana, anzi, devono essere accolti, ma nella chiarezza dottrinale. La pastorale senza dottrina è cieca, e quindi non è nemmeno vera pastorale. Ora si dà il fatto che i divorziati risposati siano in aumento, come del resto altre forme di convivenza non regolare dal punto di vista della Chiesa. Da qui le spinte ad una revisione non solo della pastorale ma anche della dottrina.

La giusta misericordia

E’ a questo punto che interviene l’arcivescovo Müller. Egli ha prima di tutto precisato cosa significa per la Chiesa, la misericordia, che va messa in atto anche verso i divorziati risposati: «Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia. Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: ‘Va’, e non peccare più’ (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste».

Il matrimonio nelle Chiese ortodosse

Siccome c’erano stati riferimenti alla prassi delle Chiese ortodosse che nel matrimonio permettono una seconda unione,  Müller così si esprime: «Oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla ‘oikonomìa’, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. […] Talvolta si sostiene che la Chiesa [cattolica] abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero”. E più avanti: “Anche la dottrina della ‘epichèia’, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa”.

Può essere il fedele a stabilire in coscienza se il suo precedente matrimonio era valido?

Una soluzione proposta da qualcuno è di lasciare alla coscienza del singolo fedele se accostarsi alla Comunione o meno. A questo proposito ecco la precisazione dell’arcivescovo: «Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di ‘coscienza’, è già stato respinto nella lettera della congregazione [per la dottrina della fede] del 1994. Certo, in ogni celebrazione della messa i fedeli sono tenuti a verificare nella loro coscienza se è possibile ricevere la comunione, possibilità a cui l’esistenza di un peccato grave non confessato sempre si oppone. Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il battesimo è incorporato, è tenuta a decidere».

Rimane però il fatto che, probabilmente, i matrimoni nulli sono oggi molti. Come fare? L’arcivescovo Müller ha ribadito i confini del discorso, confini che la Chiesa non può oltrepassare senza contraddire se stessa.

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