Il brivido romantico di Tony Dallara




“Pensando a te sento violini che piangono, sognando te vedo farfalle volar
e trovo il mar con mille vele in fondo al mio bicchiere di gin”

Tony Dallara (pseudonimo di Antonio Lardera) è stato considerato il capostipite dei cosiddetti “urlatori” italiani in contrapposizione alla tradizione melodica di un Luciano Tajoli o di un Claudio Villa, cantanti in voga già negli anni ’50 e ’60. Nel 1957 il celebre brano “Come prima” (interpretato persino in inglese nella versione dai Platters, il gruppo vocale afro-americano noti per l’inossidabile “Only you”) rappresentava un evergreen della musica italiana al punto da raggiungere la vendita di 300.000 copie. Tony Dallara, figlio di un ex corista della Scala di Milano, iniziava così la scalata ad un successo che approderà definitivamente con la vittoria al Festival di Sanremo del 1960 con la canzone: “Romantica” interpretata con Renato Rascel e tradotta persino in giapponese. Ammiratore di Frankie Laine (1913-2007), al secolo Francesco Paolo LoVecchio, e dei già menzionati Platters d’Oltreoceano, Dallara era stato influenzato come loro dal “doo-wop”, lo stile vocale derivato dal rythm’n’blues degli anni ’50 con melodie semplici ed imitazioni di suoni onomatopeici (ad esempio il doo-doo-wop dei fiati).
Il cantante di origini molisane (nato a Campobasso nel 1936) godrà così, soprattutto negli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60, di una serie di successi di canzoni come: “Non partir”, “Brivido blu”, “Ti dirò”, “Julia”. Ancora con la canzone-ossimoro “Ghiaccio bollente” scalerà le classifiche nazionali: «Odio il tuo gelido sguardo, ma se soltanto ti guardo un desiderio mi passa nelle vene, sei la mia febbre, vivo di te». Nel 1959, al culmine dell’ascesa, sarà persino attore in un paio di film, di cui uno, “I ragazzi del juke-box” in compagnia del mitico Fred Buscaglione e di Betty Curtis. Nel 1964, assieme all’artista statunitense Ben E.King, interpreterà al Festival di Sanremo “Come potrei dimenticarti”, senza tuttavia raggiungere il successo precedente: «Come potrei dimenticarti dopo quei giorni passati insieme (…) le lunghe sere vicino al mare…». Era il tentativo di raggiungere l’onda lunga del “brivido romantico” che lo aveva lanciato con grinta tra la categoria degli “urlatori”: «Chi sei tu, non lo so, ma nei miei sogni sempre ti avrò, mi sfiora il tuo ricordo e sento un brivido blu». Cantando si impara con Tony Dallara a comprendere quando è il momento di lasciare, di abbandonare le scene musicali (seppur temporaneamente) per provare a cimentarsi in altre forme d’arte, come egli fece dopo il ritiro nei primi anni ’70 per dedicarsi alla pittura, esponendo i suoi quadri in diverse gallerie d’arte. Cantando si impara con Dallara a sentirsi come l’ultimo romantico in via d’estinzione: «Bambina mia sono l’ultimo poeta che si ispira ad una stella. Bambina mia sono l’ultimo inguaribile malato di poesia. E voglio bene a te, perché tu sei come, romantica. Tu sei romantica, amarti è un po’ rivivere, nella semplicità, nell’irrealtà di un’altra età (…)».
Tony Dallara è tornato a calcare le scene negli anni ’80, invocato dalla moda del revival, che lo voleva ancora interprete dirompente dei suoi brani più famosi: «Come prima, più di prima ti amerò. Per la vita, la mia vita ti darò. Sembra un sogno rivederti, accarezzarti, le tue mani tra le mani stringere ancor. Il mio mondo, tutto il mondo sei per me e a nessuno voglio bene come a te». Dallara è stato quindi un significativo interprete di quegli anni che portarono alla rivoluzione del ’68, costituendo così un ponte di passaggio tra la canzone melodica italiana classica e l’urlato che ha successivamente traghettato il mondo musicale nell’età beat e rock di contestazione giovanile.
Dallara, in quel tempo di rivoluzione sessuale e dei costumi incombente, testimoniava ancora l’amore romantico tra un uomo e una donna: «Tu sei romantica, amica delle nuvole, che cercano lassù un po’ di sole come fai tu. Tu sei la musica che ispira l’anima, sei tu il mio angolo di paradiso per me». Un ultimo brivido romantico, un’ultima canzone “urlata” prima dell’avvento dell’ideologia sessantottina al potere: «Perché non sai che l’amore è una fiamma che brucia e divampa nel cuor e la sua febbre distrugge e divora chi sol crede ancora nell’amore».

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