I lavoratori del Porto




Con questo articolo, Luciano Bordin, già segretario provinciale CISL di Trieste ed ora in federazione regionale, inaugura la sua rubrica settimanale “Trieste lavoro” nella quale, ogni sette giorni, rifletterà sui problemi del lavoro a Trieste (S.F.). 

Da questo sito la Presidente dell’Autorità Portuale di Trieste Marina Monassi ha ricordato, e ha fatto bene a farlo, che il porto è il core business della città e che in mezzo a questa crisi che colpisce profondamente anche il nostro territorio, l’attività portuale regge meglio di altri settori economici della provincia e della regione. L’aumento dei traffici, soprattutto di containers, che emerge dai dati riportati dagli organi di informazione, mostrano una vitalità del settore portuale che fa bene al territorio.

E’ importante sostenere e sviluppare questo trend economico, ricordando che il porto di Trieste è quello con i volumi di traffico più bassi rispetto agli porti del Nord adriatico (Venezia e Capodistria) pur avendo fondali che gli altri porti dell’Alto Adriatico non hanno.

Per fare questo è necessario togliere i colli di bottiglia che frenano questo processo.

Tra i freni dello sviluppo del porto vanno poste anche le questioni irrisolte della gestione del mercato del lavoro portuale. Lo sciopero generale del porto di Trieste di venerdì scorso  29 marzo è stato indetto dalle organizzazioni sindacali proprio perché il lavoro portuale ha raggiunto livelli di conflittualità e pericolosità che necessitano di trovare soluzioni immediate.

E’ importante comprendere che i risultati di oggi sono anche il frutto del lavoro di donne e uomini che quotidianamente operano in porto.

E’ necessario non nascondere i problemi e la risposta non può essere quella data dall’armatore Maneschi che, visti i precedenti, era preoccupato dello sciopero, attacca i lavoratori e loro organizzazioni sindacali, dichiarando sulla stampa locale che i volumi di traffico «crescono più di quanto non cresca il cervello di chi con lo sciopero rovinerà questo risultato (aumento dei traffici del molo VII del 20%)».

Maneschi e l’Autorità Portuale sanno bene che vi sono nodi non sciolti della regolamentazione del lavoro in porto, che già nel maggio del 2011 avevano portato ad un lungo e complicato sciopero. Allora, per far rientrare l’agitazione dei lavoratori, tutti i soggetti operanti in porto, si erano presi impegni, anche presso il Ministero dei Trasporti, per cercare di mettere ordine nell’impiego dei lavoratori occupati presso i vari soggetti imprenditoriali portuali nel rispetto delle regole della legge 84/94.

Poco o nulla si è fatto. Sempre più forte è il dumping economico tra società, soprattutto cooperative, con ricadute pesanti sui lavoratori. Per acquisire il lavoro dalle grandi imprese portuali viene richiesta loro una flessibilità dell’organizzazione del lavoro e di orario che mette a rischio retribuzione e sicurezza.

Lo sciopero è una presa di posizione forte, una richiesta di confronto sui temi generali del mercato del lavoro di tutto il porto, dell’applicazione dei contratti collettivi e della sicurezza del lavoro.

Nessuno vuole nascondere l’aspra competizione tra i porti e tra quelli del nord adriatico cui la concorrenza e la crisi ci costringono a partecipare, ma proprio per questo è ora di darsi, sul territorio, delle regole condivise e trasparenti in un confronto costante tra associazioni datoriali, imprese e i lavoratori attraverso le loro rappresentanze. L’Autorità Portuale ha, anche su questi temi, l’onere di governare, presidiare e stimolare le parti perché il porto di Trieste continui a crescere.

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