Cosa resterà di noi? Le società informatiche stanno acquisendo il copyright sulle nostre vite

Grazie al digitale la nostra generazione sarà la prima a non lasciare niente ai posteri




di Tacitus

Anno Domini 2016, in una città italiana del ricco Nord vive una tipica coppia dell’alta/media borghesia. Lui professionista affermato, lei professoressa al top della carriera. Bella casa, arricchita da quadri d’arte moderna. Niente bambini: hanno però un cane, che chiamano “figlio”. Questa immagine, realistica per quanto anonima, ritorna alla mente dopo aver ascoltato il discorso che il Papa ha rivolto di recente ai proprietari di animali. L’amore per questi ultimi non deve andare a detrimento dell’amore verso gli esseri umani, dice il Pontefice; concetto, questo, che in una città come Trieste, dove il numero degli amici a quattro zampe sfiora il 25% della popolazione, ha dato ulteriore occasione a quanti si ritengono “illuminati” per attaccare il Magistero.

Non è una cosa nuova, la verità offende sempre qualcuno. Tra questi qualcuno ci saranno certamente quanti hanno scelto coscientemente di non avere figli, accontentandosi di un micio o di un cagnolino. Scelta che oggi può sembrare vincente (a parte la gioia di raccogliere la cacca dal marciapiede!), ma un domani, quando arriveranno gli acciacchi dell’età, forse causerà qualche ripensamento. Non per caso certe scelte tardive stanno facendo la fortuna di medici spregiudicati alla Antinori.

Anche a prescindere dal maggiore o minore interesse per la discendenza, questa nostra epoca riproduce ovunque l’immagine del ponte del Titanic, con l’orchestra che suona allegri motivetti mentre l’acqua sale inesorabilmente.  Ogni cosa si declina all’insegna dell’effimero, dell’usa e getta: dalla produzione intellettuale ai materiali “ad usura garantita”, che non risparmia nulla, neanche il cemento armato. Questo fatto ci rassicura almeno circa la scomparsa delle brutture architettoniche con le quali una corporazione di tecnici – autodefinitisi “artisti” – si sforza di cancellare dalle nostre menti il concetto stesso della bellezza.

Pazienza, dirà qualcuno: almeno ci resteranno le immagini archiviate nei computer. Spiacente di deludervi,  su questi ultimi  non è proprio il caso di contare. Come ha candidamente rivelato l’a.d. di Google, grazie al digitale la nostra sarà la prima generazione che non lascerà nulla di sè ai posteri. Per il semplice motivo che il continuo progresso della tecnologia renderà inutilizzabile la maggior parte delle informazioni che stiamo accumulando. Magari si riuscirà a salvarle (il rischio smagnetizzazione è sempre presente), ma il cambiamento dell’hardware, dei software e dei formati li renderà via via illeggibili o semplicemente “non trattabili”. Se non ci credete, provate a guardare una vecchia cassetta su un lettore DVD.

Ciò sembra in stridente contrasto con una universale politica di concentrazione delle informazioni nei megacomputer. Tutto di noi viene oggi salvato, dalle immagini “rubate” dalle telecamere ai profili su facebook, alle conversazioni telefoniche, alla posta elettronica. Certo le multinazionali che gestiscono quest’organizzazione dovrebbero avere la capacità di tradurre le loro banche dati in modo da renderle utilizzabili anche in futuro. Ma qui sta il punto. Saranno loro, e loro soltanto, a poterlo fare.

Ciò significa, ad esempio, che i nostri archivi personali rimarranno accessibili soltanto se noi (o chi dopo di noi) vorrà e potrà acquistare i nuovi prodotti informatici che si renderanno via via indispensabili. Tanto per capirci, c’è il rischio concreto che per avere una foto della nonna (quella che oggi, ragazzina quindicenne, sta “postandosi” su facebook) ci si dovrà rivolgere fuori casa, e pagare il prezzo di mercato.  Le società informatiche stanno infatti acquisendo il copyright sulle nostre vite, proprio come altre organizzazioni fanno per il genoma umano ed altre ancora stanno sostituendo le nostre biblioteche – oggi accessibili a tutti – con banche dati mostruose, la cui consultazione domani diverrà un business colossale. Ed un monopolio che solo al pensarlo mette paura.

Qualcosa di noi resterà, certo, ma molto probabilmente non ai nostri eredi. Sempre ammesso che qualcuno della nostra stirpe riesca a venire alla luce, superando le barriere della contraccezione e dell’aborto.

 

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