La Chiesa deve fare come il Samaritano, ma la politica deve organizzare e governare l'immigrazione nella tutela della propria comunità. Parlare di accoglienza generalizzata ed astratta è demagogia.

Gli immigrati e i compiti della religione e della politica




Mi sembra ci sia stata e rimanga un poco di confusione nella polemica estiva sull’immigrazione. Se ne è accorto anche Mauro Magatti sul Corriere della Sera del 20 agosto, dove mette in luce il necessario diverso approccio al problema fra politica e religione.
Da qui bisogna partire se si desidera avvicinarsi a una soluzione non ideologica al problema.

La Chiesa ha il dovere di accogliere tutti coloro che hanno un particolare bisogno di aiuto: i poveri, gli orfani e le vedove, i forestieri di cui parla spesso la Bibbia. Il cristiano, come il samaritano del Vangelo, incontra la persona ferita e debole, non può fare finta di non vederla. E mentre si chiede da dove e perché sia arrivata, e con quali intenzioni, intanto cerca di aiutarla per quanto è nelle sue possibilità.

Il governante ha un compito diverso. Egli ha la responsabilità di una comunità politica che, come sottolinea lo stesso Magatti, esiste nella misura in cui si differenzia dalle altre per storia, cultura, geografia, religione. Il suo dovere principale è quello di proteggere e valorizzare la specificità della comunità di cui è responsabile, senza per questo disprezzare o aggredire le altre. Amare il coniuge, la propria famiglia, la patria è naturale e doveroso, e non dovrebbe portare al rifiuto del diverso, che però diverso rimane. Nessuno può aiutare nessuno, se non partendo da un’identità radicata in una cultura e in un territorio. Questo principio su cui si fonda l’amore alla propria patria e che la dottrina sociale della Chiesa insegna a partire dall’osservanza del IV comandamento, spesso non viene compreso in ambienti cattolici bene intenzionati ma poco formati, che rischiano di cadere nella demagogia di un ugualitarismo astratto.

Questo atteggiamento demagogico spesso favorisce una reazione ugualmente sbagliata, seppure per le ragioni contrarie. L’amore alla propria comunità e il dovere di proteggerla anche da un’immigrazione incontrollata che potrebbe mettere a rischio l’equilibrio di una nazione, non toglie il dovere di accogliere e integrare, che spesso rappresenta anche un’opportunità di crescita.

Il nodo è che il compito di operare questa scelta spetta al governante. Quest’ultimo soltanto può stabilire quanto e come integrare un flusso di immigrati che si presenta ai confini della propria comunità politica. Può sbagliare certamente, ma può soltanto essere consigliato non sostituito. Il vescovo, come rappresentate di un’autorità che ha una funzione diversa, più importante in un certo senso perché riguarda la fede e l’eternità, può comportarsi nei confronti del governante come il direttore spirituale nei confronti del capofamiglia o dell’uomo politico: può spronarlo a essere generoso e magnanimo oltre che prudente, ma non può sostituirsi a lui né scendere sul suo stesso piano, come se fosse il sostenitore di un’altra opzione politica.

Nella vita pubblica di una nazione ci sono principi assolutamente intoccabili, come il diritto alla vita e la centralità della famiglia fondata da un uomo e una donna. Ve ne sono altri che sono importanti, ma la cui soluzione può cambiare con il cambiamento delle condizioni storiche e la soluzione più ragionevole deve sempre essere verificata alla luce dei cambiamenti in corso. L’immigrazione è uno di questi principi. Se non teniamo presente il dovere della politica di proteggere e fare crescere la propria comunità e il dovere della Chiesa di aiutare ogni persona umana e se innestiamo polemiche demagogiche invece di cercare soluzioni, non risolveremo nulla.

La polemica estiva ha messo in luce anche un uso distorto dei media. Frasi roboanti e sopra le righe per andare sulle prime pagine dei giornali da parte di tutti i protagonisti della polemica e i giornali che si prestano al gioco, anzi lo rilanciano per aumentare le vendite. La conseguenza è un dibattito soltanto emotivo, drogato, “da bar” si sarebbe detto una volta. E il risultato è un ulteriore distacco della popolazione dalla politica, sempre più disprezzata e ritenuta inutile a risolvere alcunché.

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