Fecondazione artificiale: la fine della legge 40 e della democrazia




La fecondazione artificiale andrebbe vietata e basta, per la “reificazione” dell’essere umano che opera e visto il gran numero di bambini che uccide.

Ma comunque una legge dello Stato, in uno Stato di diritto, dovrebbe almeno essere modificata o abrogata dal Parlamento e non dai giudici.

Come apripista per la demolizione della legge sono sistematicamente usati i cosiddetti “casi drammatici” o “pietosi”. Una coppia con varie problematiche e, spesso, con un trascorso medico difficile, presenta un ricorso in Tribunale per ottenere ciò che la legge le vieta.

Nel ricorso la coppia è sostenuta da varie associazioni che si occupano di Pma (“Cerco un bimbo”, “l’Altra Cicogna”, “Amica Cicogna”, “Madre Provetta”, “Hera onlus”, “Sos infertilità”…) ed è seguita, nella maggior parte dei casi, dagli avvocati dell’Associazione Luca Coscioni: Filomena Gallo, in testa, e Gianni Baldini, che si sono occupati di almeno 18 casi su 30 procedimenti. Va a finire che il Tribunale accoglie il ricorso ed emette un’ordinanza a favore dei ricorrenti.

I pronunciamenti che si susseguono e moltiplicano, non solo da parte dei tribunali italiani ma anche della Corte Europea, hanno lo scopo di creare pressione sul Parlamento il quale, una volta messo con le spalle al muro, sarà costretto a legiferare. Nel frattempo, alcune parti della legge vengono rinviate alla Corte Costituzionale, così, se il legislatore dovesse latitare, ci penserà quest’ultima a sferrare il colpo finale.

In breve, il giochino è questo: dalle associazioni e dai centri che si occupano di Pma si reperiscono i “casi pietosi”, gli avvocati dell’Associazione Coscioni offrono loro il patrocinio, la vicenda privata viene elevata a livello di dibattito pubblico e politico, la legge che il Parlamento non vuole cambiare viene pian piano smantellata per via giudiziale (Tribunali, Corte Costituzionale, Corte Europea).

“Ancora una volta sono state le coppie, con le loro drammatiche storie, e i tribunali a cambiare una legge ingiusta perché il Parlamento non ha saputo o voluto tutelare i cittadini”, ha sottolineato Filomena Gallo dopo l’ennesima sentenza “creativa”.

I Radicali non fanno altro che replicare il vincente “modello Englaro”. Furono, infatti, loro a convincere il padre di Eluana a trasformare una battaglia personale in un duello giuridico. Una battaglia che, se fosse stato per lui, Beppino Englaro non avrebbe mai intrapreso, come ebbe modo di dichiarare.

V’è poi da rilevare che i Tribunali a cui vengono presentati i ricorsi sono sempre gli stessi. Tutti i pronunciamenti contro la legge 40 provengono, infatti, da soli sei Tribunali: Catania, Cagliari, Firenze, Salerno, Milano, Roma. Evidentemente, chi presenta i ricorsi sa che con questi qui il colpo non finirà a vuoto.

Con la maternità surrogata la strategia cambia leggermente visto che qui ci troviamo di fronte al fatto compiuto: le coppie non chiedono al giudice di fare una cosa vietata per legge, ma dal giudice ci arrivano perché la legge l’hanno già violata. In questi casi la giurisprudenza si muove a macchia di leopardo ma, nonostante alcune sporadiche condanne, prevale perlopiù una legislazione “emotiva” orientata all’assoluzione dai reati commessi.

A volere lo smantellamento della legge 40 non sono solo i Radicali, ma anche i numerosissimi centri privati che si occupano di Pma. Il motivo è semplice: la fecondazione artificiale è in grado di generare profitti enormi.

Come si sa, le percentuali di fallimento della fecondazione artificiale sono altissime: con il primo ciclo va a buon fine solo il 5% delle gravidanze, un successo del 96% si registra solo quando si arriva al sedicesimo trattamento e, visto che ogni ciclo costa dai 5mila ai 16mila euro, i conti sono presto fatti. Di qui l’interesse ad avere una legge la più ampia possibile, senza restrizioni circa il numero di embrioni da impiantare, con la possibilità di effettuare la diagnosi genetica preimpianto (costo dai mille ai 3mila euro da aggiungersi a quello dei trattamenti), con la liceità d’eterologa e il suo lucroso mercato dei gameti.

Il pronunciamento del Tar del Lazio del 2008 – mediante il quale sono stati tolti i vincoli (di “tipo osservazionale”) alla diagnosi sull’embrione, e sono stati rinviati alla Consulta le parti della legge 40 che limitavano la produzione a non più di tre embrioni e obbligavano al loro unico e contemporaneo impianto (poi eliminati dalla Corte) – faceva seguito a un ricorso presentato dal WARM, un’associazione che rappresenta gli interessi collettivi di centri privati e professionisti che si occupano di Pma.

Già nel 2011, l’allora sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, aveva osservato che “le spinte del mercato della fecondazione sono crescenti. Non a caso i ricorsi contro la legge 40 vengono proprio dai centri per la fecondazione medicalmente assistita”.

Pertanto, come già avviene per l’aborto e con la diffusione della contraccezione artificiale, anche nell’ambito della procreazione in provetta si assiste a uno stretto connubio tra lobby ideologiche e lobby economiche. L’avvocato Gianni Baldini, per esempio, non fa solo parte del Collegio dei Giuristi dell’Associazione Coscioni, ma è anche consulente di varie associazioni di Pma e del CECOS: la principale associazione dei centri di Pma italiani.

I pronunciamenti giudiziari che hanno smantellato la legge 40 non sono altro che un aspetto di un fenomeno più vasto e consolidato: in Italia comandano i giudici. I giudici fanno cadere i governi democraticamente eletti, si sostituiscono ai medici ordinando la prosecuzione di trattamenti (“metodo Stamina”) considerati dannosi dalla comunità scientifica, ordinano la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero, legittimano lo sfruttamento dell’utero in affitto, se ne infischiano del 75% degli italiani che ha fatto fallire il referendum popolare promosso dai Radicali sulla legge 40…

Ha scritto Marcello Veneziani in un articolo dell’aprile 2014: “Il legislatore e i rappresentanti del popolo sovrano, i medici, i sacerdoti e gli scienziati non contano nulla, possono solo proporre; ma a disporre alla fine è il magistrato. È lui che detiene il monopolio assoluto in materia di vita e di morte, di leggi e di valori, di libertà e divieti. Il giudice è dio in terra e ultima istanza suprema, detentore della Verità e del monopolio della Forza. A lui solo è concesso il decisionismo negato agli altri poteri. A me non piace vivere in un Paese in cui tutto è relativo meno il potere dei giudici, tutto è opinabile salvo le scelte ideologiche della Corte, c’è la divisione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario ma il potere giudiziario sovrasta gli altri due. Non contano le leggi del Parlamento né i costumi e le tradizioni dei popoli. Il giudice è l’unico Assoluto in una società relativista. Gli altri, parlamentari, medici, preti ed esperti al più sono i suoi periti, in tutti i sensi…

La tecnica è sempre la stessa: sbandierare casi estremi o pietosi, tènere storie, e poi far passare sotto le comprensibili aspettative di alcune coppie in cerca di figli, norme che relativizzano la famiglia e la natura… In un colpo, un giudice solitario si sostituisce ai comuni, al popolo e ai suoi rappresentanti e decide da solo cosa fare. Insomma il Verbo del presente ridotto in sintesi è il seguente: l’umanità finora ha sbagliato, il progressismo ci dona d’un colpo la Verità negata nei secoli e Dio non è più in cielo perché presta servizio in tribunale”.

Nel corso delle sue conferenze in giro per l’Italia, anche l’avvocato Gianfranco Amato – presidente dei “Giuristi per la Vita” – ha fatto presente che “oggi non viviamo più in una Repubblica Parlamentare, ma in una Repubblica Giudiziale” e come questo fatto costituisca un “problema per la democrazia”.

“La volontà popolare espressa dal Parlamento allorché varò la legge 40 e dal referendum del 2005 che ne confermò la validità” – ha scritto Tommaso Scandroglio commentando l’ennesimo rinvio delle legge 40 alla Corte Costituzionale – “sono state spazzate via dall’operato di una manciata di avvocati. Le idee di pochi valgono di più di quelle di molte cristallizzate in leggi democratiche. Siamo ben oltre la tecnocrazia dei giudici, qui c’è una minuta oligarchia di potere che però evidentemente è dotata di mezzi (anche economici), risorse e agganci di alto spessore”[16].

Non c’è da stupirsi, allora, se il primo partito italiano è quello dell’astensione, se aumenta il numero degli italiani ad aver capito che il loro voto (elezioni e referendum) non conta niente. Se sempre più cittadini si sono resi conto del deficit di democrazia che imperversa nel nostro paese, un paese dove i rappresentanti eletti con regolari elezioni vengono fatti cadere e sostituiti, per ben tre volte di seguito, con governi non eletti dal popolo (Governo Monti, Governo Letta, Governo Renzi) e dove i giudici hanno il potere supremo di fare il bello e il cattivo tempo a piacere.

Se i giudici sono riusciti a smantellare con tanta facilità la legge 40 – v’è però da dire – è stato anche perché il Legislatore ha fatto la sua parte, partorendo leggi che si sono via via allontanate dal diritto naturale per andare sempre più incontro ai desiderata individuali. Norme nate dal compromesso, dalla logica della “limitazione del danno”, contraddittorie e senza una logica coerente, come lo sono appunto la legge 40, la sua precorritrice: la legge 194 sull’aborto e, prima ancora, la legge 898 sul divorzio.

In altre parole, i colpi d’ariete della magistratura hanno avuto successo perché l’impianto della legge con tanto di “paletti” era marcio fin dall’inizio.

I giudici, aprendo alla fecondazione eterologa, hanno detto che il diritto al figlio è incoercibile, ma il diritto al figlio è già insito nella legge 40 che ha reso lecita la procreazione al di fuori del corpo della donna. Se la procreazione fuori del corpo della donna è lecita, cosa cambia se uno dei gameti o entrambi non appartengono alla coppia, o se il figlio assemblato viene incubato nell’utero di un’altra? Come sarebbe andata a finire era già scritto nella legge, altrimenti si sarebbe dovuto vietare qualsiasi tipo di fecondazione artificiale, omologa compresa, visto che anche quest’ultima non tutela la vita del nascituro ma solo i desideri della coppia. Visto che anche l’omologa toglie al figlio il carattere di “dono” e lo trasforma in oggetto, in proprietà da pretendere e ottenere.

La liceità della fecondazione eterologa è anche consequenziale alla legge sul divorzio: con quest’ultima si è separata la famiglia giuridica, con l’altra la separazione della famiglia è avvenuta anche dal punto di vista biologico. L’eterologa non è altro che una forma di quella famiglia “allargata” che l’introduzione del divorzio ha sdoganato già da molto tempo.

Ma la legge 40 è anche figlia della legge sull’aborto. Se il nascituro fosse considerato persona non potrebbe essere ucciso. Il diritto incoercibile ad avere un figlio, che i giudici hanno logicamente tratto dalla legge 40, è lo specchio fedele del diritto, anch’esso incoercibile, a non avere un figlio, come previsto dalla 194.

La legge 40 non fa altro che mimare la 194: il figlio non gode di alcun diritto, al primo posto vi è sempre l’arbitrio degli adulti. Il figlio è l’oggetto da rimuovere se in quel momento contrasta con l’autodeterminazione della madre, ed è l’oggetto da ottenere, anche con patrimonio genetico di altri, se l’autodeterminazione degli aspiranti genitori si orienta al suo raggiungimento.

Nell’aprire all’eterologa, la Corte ha fatto riferimento al “diritto alla salute” psichica delle coppie. Si tratta della medesima salute fisica e psichica evocata dalla 194 che ha, di fatto, reso possibile ricorrere all’aborto in modo illimitato. In questo caso il nascituro è eliminato perché compromette la salute psichica della donna, nell’altro caso il nascituro è assemblato e fabbricato perché fa bene alla salute psichica della coppia.

In conclusione: i giudici si sono sì comportati in modo arrogante, scavalcando sia il Parlamento che la volontà popolare, ma lo hanno potuto fare proprio grazie alle pessime leggi che i parlamenti hanno partorito a partire da quarant’anni fa.

E adesso che i giudici hanno ufficialmente sancito ciò che tacitamente la legge stabiliva, prepariamoci a un’infinità di nuovi ricorsi e demolizione di altri divieti. Se il diritto al figlio è incoercibile e la salute psichica va tutelata a discapito del nascituro, perché la fecondazione artificiale dovrebbe essere preclusa alle coppie fertili con patologie genetiche? Perché vietarla a single e coppie gay? Perché non dovrebbe essere legale anche l’utero in affitto? Perché non dovrebbe essere possibile revocare il consenso anche dopo la formazione degli embrioni se la salute psichica di chi li ha prodotti è in “pericolo”? Perché dovrebbe essere preclusa la fecondazione artificiale alle coppie anziane o la Pma post mortem…?

Ha scritto Cristiano Gatti su Il Giornale: “È inevitabile: questo ‘incoercibile’ diventerà il totem attorno al quale si svilupperanno le prossime battaglie etiche sul tema delicatissimo dei figli. Pare di capire che il diritto ad averne sia talmente sacro e intoccabile, che a nessun genitore possa essere in qualche modo negato… Siamo di nuovo in alto mare. Senza scialuppe di salvataggio. Il tema eterno si avvia a un’altra stagione di battaglie. Solitamente si pensa che le motivazioni mettano la pietra tombale sulle decisioni della Corte costituzionale: in questo caso, è chiara la sensazione che sull’incoercibile della vita siamo solo ad un nuovo inizio”.

Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto alla Lumsa di Roma, osserva che per “evitare che i magistrati si trovino nelle condizioni di argomentare a ruota libera” occorre “intervenire con una legislazione puntuale, creare regole generali e astratte che valgano per tutti”. “Il diritto esiste per difendere i più deboli – prosegue la docente – in questo caso, sono i bimbi che nascono”.

Alfredo Mantovano, politico e magistrato, parla di “un lavoro culturale che affronti in modo diretto e coraggioso le motivazioni della Corte, le contesti con argomenti saldi, e provi a costruire orientamenti alternativi, fondati sulla natura dell’uomo. Un lavoro lungo, per il quale è impossibile fissare date di raccolta dei risultati. Un lavoro però che, se non avviato, non deve far sorprendere di fronte a decisioni come quella sull’eterologa… ragioni salde, fondate su una logica coerente, sono la premessa più adeguata perché alla fine si trovi qualche giudice costituzionale che non riduca il bambino a un oggetto”.

Tommaso Scandroglio propone “battaglie come quelle che stanno conducendo i radicali, ma ovviamente alla rovescia”. Senza le iniziative dei radicali – osserva Scandroglio – “non sarebbe mai passato per la mente ai vari Beppino Englaro e Costa-Pavan di ingaggiare battaglie giuridiche così lunghe ed estenuanti per averla vinta. Questo insegna che anche i giuristi cattolici dovrebbero, da una parte, essere fastidiosi come zanzare e puntuali come le cartelle esattoriali nel difendere quelle persone che sono state vittime, ad esempio, della 194. Patrocinando, per esemplificare, cause di donne che dopo un aborto hanno sofferto la sindrome post-abortiva, dato che non sono state informate prima dell’intervento di questo rischio”.

Per fermare questa deriva giudiziaria bisogna, in sintesi, ritornare a fare leggi fondate sul diritto naturale invece che sui desideri individuali. Se il diritto esiste per difendere i più deboli, bisogna che le leggi affermino il diritto alla vita e alla salute del grande dimenticato, del più debole fra i deboli: il concepito, il bambino non nato. Quest’operazione non può che passare per l’abrogazione delle leggi inique: la 194 in primis e a seguire la 40. Qualsiasi argomentazione contro le sentenze della Corte costituzionale non potrà mai avere una logica forte e coerente finché la 194 rimarrà in piedi, finché la salute fisica e psichica – della madre, nell’aborto; degli aspiranti genitori, nella fecondazione artificiale – avrà il predominio assoluto sulla vita e la salute del figlio, finché a dominare sarà l’autodeterminazione del più forte. Finché la 194 resterà in piedi, ci sarà sempre una Corte Europea che ci condannerà per incoerenza.

Per l’abrogazione delle leggi inique, tutto il possibile deve essere fatto, a livello culturale, politico e – come suggerisce Scandroglio – giuridico. Da questo punto di vista, ben vengano le azioni di contrasto che replichino la strategia vincente del nemico. Cominciamo a portare all’attenzione dei Tribunali i numerosissimi casi di donne che sono state ingannate dall’aborto di Stato “sicuro e indolore”, le madri che i danni al fisico e alla psiche li hanno subiti dopo il ricorso all’aborto volontario, e facciamo in modo – come fanno i Radicali – che nei ricorsi siano sostenute dalle tante associazioni che si occupano di “sindrome post aborto”. E portiamoci, dai giudici, anche le donne che hanno rischiato la vita a causa dei trattamenti di stimolazione ovarica. Portiamoci anche le tantissime coppie che, dopo anni di tentativi e cicli falliti di Pma, si sono ritrovate senza il figlio agognato e con il fisico e la psiche a pezzi. Facciamo in modo che tutta questa immane sofferenza venga allo scoperto, che diventi argomento di dibattito pubblico, che la verità venga a galla e faccia pressione sul Parlamento.

Denunciare i colpi di mano giudiziaria non basta più, il lavoro da fare è molto ed è lungo, occorrono persone di buona volontà disposte a iniziarlo.

di Lorenza Perfori

Fonte: http://www.notizieprovita.it

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