Sabato 19 marzo, Festa di San Giuseppe, il Vescovo ha presieduto la concelebrazione eucaristica nella chiesa di San Giuseppe della Chiusa-Ricmanie in ringraziamento a Dio per il 15mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. I sentimenti della diocesi espressi dal Vicario Generale.

“Fare il Vescovo certamente comporta preghiera, sacrificio, solitudine, discernimento”




Sabato 19 marzo 2016 – Solennità di San Giuseppe
XV anniversario di Ordinazione Episcopale di mons. Vescovo
Discorso di Auguri del Vicario generale al Vescovo
di fronte il clero, i religiosi e i seminaristi
nella chiesa santuario di S. Giuseppe della Chiusa.

Eccell. Rev.ma e Carissimo Vescovo Giampaolo,

in questo giorno di festa per tutta la Chiesa, in cui stiamo celebrando la solennità di San Giuseppe, sposo di Maria, la nostra chiesa diocesana si stringe attorno a lei ringraziando il Signore per il dono dell’Episcopato, ricevuto quindici anni fa.
Siamo in comunione anche con Roma che proprio oggi festeggia i tre anni in cui il Santo Padre ha preso possesso del suo ministero celebrando la solenne messa di imposizione del Pallio in Piazza san Pietro, il 19 marzo 2013.
Per farle gli auguri prendo spunto in tre punti dalla solennità di oggi, appunto la Solennità di San Giuseppe sposo di Maria.

Innanzitutto Giuseppe esercita su Gesù una paternità che non è biologica, ma “morale”.
Nello stesso senso e allo stesso modo noi chiamiamo il Vescovo con il titolo anche di “Padre”. Anche il Vescovo è un “padre” dei figli della sua Diocesi. Non è un padre biologico, ma “morale”. Non credo sia facile esercitare questo tipo di paternità, come non credo sia stato facile per Giuseppe accettare questo Figlio di Dio che non era frutto della sua carne e del suo amore per Maria. Fare il Vescovo certamente comporta preghiera, sacrificio, solitudine, discernimento. Non è facile vivere questo, certamente, ma la ringraziamo per quanto è in mezzo a noi. Nella sua paternità con le sue caratteristiche vediamo un riflesso della Paternità di Dio per ciascuno di noi.
Il secondo aspetto della vita di San Giuseppe che mi colpisce è il suo silenzio. Giuseppe non dice una parola in tutto il Vangelo. Ha di fronte grandissimi problemi da risolvere (la gravidanza inaspettata di Maria, Erode che vuole fare uccidere il Bambino…) ma di fronte a tutto questo ci colpisce il suo totale silenzio. Un silenzio che diventa ascolto della Parola di Dio e poi decisione ferma e precisa in nome di Dio.
Carissimo Vescovo Giampaolo, certamente il suo ministero di Vescovo la chiama spesso a dire molte parole, discorsi, incontri, relazioni. Ma forse la più grande fecondità di un padre è saper parlare con il silenzio. Quel silenzio che non è mutismo, distanza, indifferenza. Quel silenzio che è frutto dell’Ascolto vero della Parola e preparazione a quelle scelte in cui dobbiamo vedere la volontà di Dio sulla nostra Chiesa triestina.
L’ultimo aspetto della vita di San Giuseppe che vorrei sottolineare questa mattina è l’amore incondizionato che ha avuto in tutta la vita per la sua sposa, Maria.
Un amore fedele, nonostante il fatto che certamente i progetti di Dio hanno sconvolto i suoi iniziali calcoli che aveva su questa sua futura sposa. Non credo sia stato facile accettare da uomo la volontà di Dio, il progetto ai limiti dell’assurdo di diventare marito della Madre di Dio. Pensiamo alle preghiere che Giuseppe avrà rivolto al Signore per comprendere meglio questa volontà, alle tante volte che di notte, dormendo accanto a lei l’avrà guardata in silenzio domandandosi quale era il suo posto in tutto questo e perché Dio aveva scelto proprio lei…
Anche lei, caro Vescovo Giampaolo, è sposato. Porta l’anello al dito da quindici anni. Sposo della Chiesa, di cui Maria dal venerdì santo quando Gesù l’ha consegnata a Giovanni sulla croce, è segno. Maria è immagine della Chiesa.
Come Giuseppe è sposo di Maria, così lei vescovo Giampaolo è sposo della Chiesa, in particolare di questo frammento di chiesa che è la nostra Diocesi di Trieste.
Non è certamente facile essere sposo della nostra Chiesa. Chissà quante volte forse vorrebbe una sposa diversa, che la accogliesse con più amore, che seguisse maggiormente i suoi consigli, che i sacerdoti fossero più uniti e sinceri, che seguissero di più il Vangelo e amassero con più convinzione Gesù.
La fatica di un Vescovo è quello di essere sposo della Chiesa che lo applaude, ma anche della chiesa che non lo applaude. O anche di quella chiesa che in chiesa non ci viene e sono i non battezzati di questa città, gli atei, chi crede ad altro e non a Gesù Cristo.
Le auguriamo, carissimo Vescovo Giampaolo, di far sentire a tutti che il suo cuore è sempre per tutti, è aperto a tutti.
Forse solo l’amore converte. E’ l’amore che tutto spera, tutto sopporta e non avrà mai fine, come dice Paolo nell’Inno alla Carità della lettera ai Corinti.
Le auguriamo, carissimo Vescovo Giampaolo, un ministero fecondo. Non di risultati umani, ma fecondo di Amore.
Si fidi sempre di Dio e ci conduca sulle strade della sua volontà regalandoci il suo cuore di Padre e di Sposo, un cuore a volte ferito, a volte incompreso, ma certamente un cuore appassionato di Dio e della sua Sposa, la Chiesa. E questa passione che conta e che, in ultima analisi, converte. Perché è lo stesso cuore di Cristo.

Con questi sentimenti le assicuriamo il nostro ricordo quotidiano nella preghiera e certamente la nostra stima e amicizia per tutti i giorni che potremo vivere insieme, nella sequela all’ “unico necessario” che è Cristo.

Auguri, vescovo Giampaolo! Ad multos annos!
Mons. Pier Emilio Salvadè

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