Droni per l’aborto sulla Polonia




Davvero l’immaginazione umana a volte può arrivare a idee che non si può non definire ‘luciferine’. Come altro descrivere obiettivamente l’ingegnosa trovata dell’associazione abortista olandese Women on Waves a proposito di lanciare dei droni che dal cielo buttano  – letteralmente – pillole albortive sulla Polonia? Ci mancava solo questo. L’iniziativa, inaugurata nei giorni scorsi,  promette di lanciare – a titolo dimostrativo – di volta in volta cinque chili di pillole abortive (nella fattispecie si tratta della cd. ‘pillola del giorno dopo’) sulle città a ridosso del confine tedesco, come è stato il caso di Slubice, raggiunta da un velivolo partito poco prima da Francoforte sul Meno la scorsa settimana e riaprire così in modo eclatante il dibattito sulla legislazione abortista attualmente in vigore. Perchè, per chi non lo sapesse, già adesso l’interruzione di gravidanza è legale nel Paese in almeno tre casi. Ovvero: malformazione del nascituro, stupro e presenza di seri rischi per la salute della madre. Quindi, nonostante quello che si legge in giro, la possibilità è ampiamente ammessa e praticata. Oltre 700 volte nell’anno passato. Ma stando ai giornali liberal occidentali sarebbe sempre e comunque troppo poco. Da qui la ‘battaglia civile’ (civile?) di Women on Waves, raccontata in queste ore anche da qualche giornalone di casa nostra in termini che vi potete immaginare e che qui vi risparmiamo, per decenza. In questi casi si vede bene in effetti a che punto può arrivare la propaganda ideologica travestita da (dis-)informazione: si fa praticamente a gara a chi è più bravo nel cambiare la realtà, in ossequio al motto di Hegel per cui se la nostra idea confligge con la realtà…beh, tanto peggio per il mondo reale. C’è chi ad esempio ricorda, correttamente, che in Polonia l’aborto fu legalizzato durante il regime comunista ma invece di chiedersi il perchè arriva persino ad elogiare (sic) la dittatura perchè su ‘certi temi’ sarebbe stata ben più aperta della democrazia attuale (!). Hai capito che geni. Invece di ammettere e riconoscere che la cultura della morte nel ‘900 in Europa fu introdotta dalla barbarie nazicomunista (la volta scorsa parlavamo giusto dell’eutanasia nel Terzo Reich), si arriva a sostenere seriamente una etica migliore di quelle classi dirigenti rispetto a quelle attuali. C’è da trasecolare onestamente. Ma siccome siamo in piena e caotica società liquida, quasi nessuno se ne meraviglia più di tanto.

Poi c’è la caricatura delle posizioni di chi sta dall’altra parte: ritratto ovviamente come un ultrà religioso o un nazionalista legato al passato e lontano dalla modernità, il che paradossalmente può essere anche in parte vero, ma non nel senso che gli si vorrebbe attribuire. Che una persona normale, adulta, di buona cultura, di suo possa disapprovare in piena ragione una cosa del genere non è semplicemente contemplato. Deve essere uno con qualche cosa fuori-posto, come minimo. In Polonia, però, dove nazismo e comunismo sono state esperienze reali concrete e ancora molto vive nella carne e nella memoria collettiva, non ci cadono facilmente. Qualcuno ricorda ancora bene il trattamento riservato al popolo e alle donne dagli invasori. Che hanno odiato la Polonia come hanno odiato la cultura della vita che questa rappresentava. Visceralmente. Per cui capite bene che a legare certi temi alla causa della libertà i polacchi fanno fatica, molto fatica. Chi ha vissuto quegli anni non riesce a capire come quello che ieri veniva associato ai criminali del ‘900 oggi debba essere associato al progresso civile delle Nazioni. Beh, non hanno tutti i torti. Poi, certo, se uno è credente c’è stato anche un Giovanni Paolo II che su queste cose ricatechizzato tutto il popolo, famiglia per famiglia, verrebbe da dire. D’altra parte, se uno non è credente c’entra relativamente poco dal momento che almeno da Ippocrate in poi spezzare una vita che nasce viene visto come un atto aberrante. Qualcun altro potrebbe aggiungere Cicerone, o persino Gandhi, andando nelle culture più altre e distanti. Ma si sa, da che mondo è mondo, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, anche nel giornalismo più colto ed ‘impegnato’. Karl Kraus, che invece dopotutto non era così gentile, li avrebbe forse liquidati al suo solito modo diretto, loro e tutta quanta la categoria: “Non avere un pensiero e saperlo esprimere. E’ questo che fa di qualcuno un giornalista”. Ed era sempre e comunque Karl Kraus, s’intende, mica il sottoscritto.

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