Dopo il Giubileo straordinario: e i politici? chi li ha visti?




E’ esistito un tempo in cui, durante i Grandi Giubilei, i capi di Stato e di Governo dei popoli rinnovavano anche loro personalmente i loro atti di fede con un pellegrinaggio a Roma e al contempo deliberando – in armonia con lo spirito evangelico dell’Anno Santo – speciali provvedimenti caritatevoli e misericordiosi per una maggiore e migliore cura del bene comune delle rispettive comunità a loro affidate. Il cammino di conversione insomma, nel caso delle guide politiche, veniva accompagnato anche da convinti ed esemplari atti pubblici ben connotati cristianamente. Queste esperienze erano molto diffuse non solo alla fine dell’età antica o nel Medioevo ma anche all’inizio della modernità, dove la legittimità religiosa del potere temporale (intendendo qui per legittimità evidentemente non solo e non tanto l’eventuale accordo contingente di mutuo riconoscimento con i pastori della propria terra, chiunque fossero, ma l’adesione autentica al piano di Dio, cominciando dall’osservanza sincera del Decalogo) era un tema ancora molto sentito. Poi, con l’avanzata del processo di secolarizzazione la cosa è stata sempre meno sentita fino ad arrivare al tempo presente dove praticamente è stata completamente rimossa. L’ultima dimostrazione se ne è avuta, per l’appunto, nel Giubileo straordinario appena terminato. Infatti, sinceramente, chi se ne è accorto? Avete avuto notizia di qualche leader politico cristiano che abbia portato avanti qualche iniziativa speciale – e per l’appunto ‘straordinaria’ – in concomitanza e a supporto dell’anno di Grazia? Se ne avete avuto, segnalatecelo per favore, perché a noi non risulta niente. Il panorama mitteleuropeo è stato anzi semplicemente desolante: fatta eccezione per la Polonia, che ha chiuso l’evento addirittura con una consacrazione collettiva della Nazione a Cristo Re a Lagiewniki (https://it.zenit.org/articles/polonia-celebrato-atto-di-accoglimento-di-gesu-cristo-come-re-e-sovrano/), e che però rappresenta per molti versi una realtà a sé, e in cui la dimensione pubblica, sociale e politica, del Cristianesimo è assolutamente evidente anche a prescindere dall’indizione di un Giubileo, per il resto quest’Anno Santo per i leader politici è passato come se nulla fosse stato. Della serie: non pervenuto. Anche laddove infatti il dibattito e persino l’agenda politica avrebbero offerto una sponda ideale alla ripresa dei temi principali cari alla Dottrina Sociale della Chiesa le classi dirigenti sono rimaste silenti o indifferenti, in tutt’altre faccende affaccendate, some si suol dire.

Intendiamoci, il problema non nasce di certo oggi, ma oggi più che mai – anche per la concomitante crisi globale – è forse avvertito ai più diversi livelli. Quello che si vede è che i cattolici, un po’ ovunque, sono andati al rimorchio delle due grandi scuole partitico-ideologiche che li hanno orientati nell’ultimo secolo e hanno finito per esserne drammaticamente coinvolti condividendone le sorti fino a perdere ogni identità propria. Parliamo naturalmente dell’esperienza storica democratico-cristiana da una parte e di quella liberal-conservatore dall’altra, entrambe dimostratesi ampiamente incapaci di valorizzare il portato tipico della lettura cattolica dell’agire sociale e la sua universalità (si pensi al primato politico che per i credenti rivestono temi specifici come l’interclassismo, la sussidiarietà, la soggettività sociale dei corpi intermedi che preesistono allo Stato) non a caso anti-ideologica. E’ come se, persino in tempi di crisi identitarie, statuali e globali, i leader cattolici (ma ne esistono ancora da qualche parte?) non sapessero da dove cominciare, né che cosa dire. Né si può dire che il Papa non abbia parlato per tempo ai diretti interessati, per esempio al Parlamento europeo, non proprio un luogo scelto a caso, dove nello storico discorso Francesco disse esplicitamente che il Continente aveva bisogno di re-investire nuovamente sulla speranza e sulla capacità di guardare positivamente al futuro, in modo semplice ma quanto mai diretto: “Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali”. Gli applausi forti e scroscianti allora li abbiamo sentiti tutti, ma le conseguenze pratiche seguite all’entusiasmo momentaneo per queste parole? Boh, di nuovo, non pervenute. Ma poi anche oltre e a parte gli ultimi significativi interventi pontifici è come se nessuno sapesse esattamente da dove ripartire e avesse bisogno di continue e precise indicazioni, come se non esistessero fior di Encicliche, Esortazioni varie e interi Compendi di Dottrina Sociale a disposizione. La fotografia è obiettivamente desolante e qualche segnale incoraggiante qua e là (soprattutto da alcuni giovani movimenti ecclesiali, però, la cui prima ragion d’essere non è certo di natura politica ma spirituale e religiosa) non cambia lo scenario complessivo. Il paradosso è che siamo usciti da poco dal secolo delle ideologie e dei loro disastri realizzati in terra e se c’è qualcuno che – di fronte a tanti fallimenti, teorici e pratici – avrebbe qualcosa da dire sia per rilevare una volta per tutte la ‘malvagità intrinseca’ delle letture parziali e riduttive del mondo sia per dimostrare concretamente la novità di cui è portatore (se c’è una ricetta politica che non è stata mai realmente ‘provata’ è proprio il corpus organico della Dottrina sociale) sarebbero proprio i cristiani. Ma lo sappiamo, i figli di questo mondo solitamente sono più scaltri dei figli della luce (vedi Luca 16, 1-8) e non si può dire che il Signore, nella sua infinita misericordia, anche qui non ci avesse già avvertito e messo in guardia per tempo, no, ahinoi, questo proprio no.

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