Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cardinale Gerhard Ludwig Müller ha recentemente parlato all’Assemblea plenaria dei Vescovi del Cile. Non un discorso d’occasione e neppure un intervento tra i tanti ma parole dense di significato, capaci di gettare luce sulla realtà ecclesiale di questi nostri difficili anni, parole d’un medico saggio abile nell’indicare la cura perché previamente abile nella diagnosi delle malattie.
Con tutta l’autorevolezza che gli deriva dall’essere il primo collaboratore del Papa in campo dottrinale, il cardinale Müller ha illustrato ai Vescovi cileni e, indirettamente, a tutta la Chiesa alcuni tra i principali problemi che segnano la vita ecclesiale dei nostri giorni, le molte “sfide che oggi riguardano la fede”.
Leggendo il testo dell’intervento colpisce subito la chiarezza con la quale il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio individui nella protestantizzazione un rischio grave e attuale, propriamente il Cardinale parla del rischio di adeguare la Chiesa a prassi e concezioni proprie del protestantesimo liberale. Rischio comune ma particolarmente evidente nella realtà ecclesiale dell’Europa, Germania, Belgio, Olanda.
Tale mortale rischio di protestantizzazione liberale del cattolicesimo tocca diversi e molteplici piani. Così il Cardinale richiama ad una corretta interpretazione del ruolo delle Conferenze Episcopali contro il rischio di una visione distorta delle stesse, non più concepite come aiuto ai Vescovi diocesani ma quasi a formare delle Chiese nazionali con dottrina, disciplina, pastorale proprie. Sarebbe il pensare la Chiesa, contro la volontà positiva del Divino Fondatore, secondo una concezione confederale al modo delle realtà nate dalla Riforma.
Se “oggi rimane motivo di preoccupazione e di studio il fatto reale che in alcuni casi l’azione delle Conferenze episcopali hanno colpito, con maggiore o minore forza a seconda delle zone, la responsabilità «iure divino» del Vescovo diocesano”, il cardinale Müller ha voluto ricordare l’insegnamento di san Giovanni Paolo II sul tema e sottolineare come papa Francesco abbia, ad esempio in materia matrimoniale, valorizzato la competenza del Vescovo diocesano.
Il Cardinale ha ricordato che l’azione delle Conferenze Episcopali non costituisce una azione episcopale collegiale che si dà unicamente tra tutti i vescovi dell’ecumene con e sotto la guida del Papa così che i documenti delle Conferenze Episcopali avranno valore magisteriale solo e soltanto “con il consenso unanime di tutti e ciascuno” dei singoli Vescovi diocesani.
Il Prefetto ha proseguito denunciando il sempre più insidioso relativismo penetrato all’interno della Chiesa, “Ricordiamo – ha detto – il rifiuto che provocò in alcuni ambienti teologici la dichiarazione Dominus Iesus, del 6 agosto dell’anno 2000. Questi ambienti non hanno ceduto e sono ancora presenti e hanno nuove manifestazioni che, come pastori, dobbiamo essere capaci di controllare, analizzare e illuminare. Una di queste [nuove manifestazioni] è un certo sincretismo religioso che ha preteso di equiparare gli insegnamenti di diverse dottrine religiose con la fede cristiana, relativizzando la Rivelazione cristiana.
In modo analogo, questo relativismo ha influito anche nelle relazioni con le altre confessioni cristiane, attraverso un ecumenismo che in alcune circostanze ci fa abbandonare l’autentico messaggio cristiano, per annunciare semplicemente verità religiose meramente naturali. Come conseguenza di questo relativismo, si sono diluite le verità antropologiche fondamentali sulla persona umana e l’espressione più evidente è il primato delle teorie del genere, che implicano un cambiamento antropologico completo nella concezione cristiana della persona, del matrimonio, della vita, etc.”.
Relativismo che, in campo antropologico ed etico, conduce alla ideologia del gender, alla svalutazione del diritto naturale alla vita con la conseguente legalizzazione di aborto ed eutanasia, alla destrutturazione della famiglia.
Altro tema trattato, quello del dissenso teologico che vede teologi e anche Pastori opporsi al Magistero, all’insegnamento della Chiesa spingendosi “nella sua forma più radicale, il cambiamento della Chiesa secondo un modello di contestazione ispirato da ciò che si fa nella società politica”. Dovere dei Vescovi è non solo condannare gli errori ma proporre con forza e solidi argomenti la Dottrina cattolica. “In questa materia si impone ai pastori una vigilanza e un azione prudente, ma chiarificatrice, specialmente quando ciò che è interessato è l’insegnamento della fede. Come successori degli Apostoli, i Pastori della Chiesa «ricevono dal Signore… la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini… ottengano la salvezza». Ad essi è quindi affidato il compito di conservare, esporre e diffondere la Parola di Dio, della quale sono servitori (Istr. Donum veritatis, 14)”. I Vescovi non sono chiamati a inventare nuove dottrine o a conformare la Dottrina alle sollecitazioni mondane ma piuttosto a conservare, trasmettere e diffondere la Verità così come ricevuta.
Spesso il dissenso teologico si fa forte invocando argomenti sociologici quali la mutata opinione dei più, i mutati costumi, etc. Il cardinale Müller, riprendendo l’Istruzione Donum Veritatis, precisa quindi la radicale diversità del sensus fidei dall’opinione comune (fosse pure della larghissima maggioranza). Il senso soprannaturale della fede è un profondo sentire cum Ecclesia, un aderire infallibilmente alla Verità rivelata, nulla a che vedere con l’opinione dei più.
Grande attenzione si deve pure prestare all’utilizzo delle altre scienze umane in campo ecclesiale, ad esempio a non confondere l’orizzonte spirituale con quello psicologico studiato dalle diverse psicologie moderne.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è indicato dal Cardinale come lo strumento imprescindibile per guidare l’azione pastorale che deve sempre darsi fedele alla Dottrina. Il rischio, altrimenti, è quello di una trasformazione della Chiesa in una ONG umanitaria. Così il cardinale Müller: “In questo scrutare la realtà, come parte del compito teologico, si considerano come “segni dei tempi” tutte le classi di evento, modo di pensare e di agire dei contemporanei, a partire da quelli su cui si riflette e decide quale linea deve prendere la Chiesa nella sua azione pastorale. Si dice con una certa facilità che questi segni costituiscono un “parlare” di Dio alla sua Chiesa. In questo modo la Rivelazione divina (comune, oggettiva e universale) viene relativizzata; e la Sacra Scrittura si utilizza al servizio di questi contenuti per “illuminarli”. In questo modo la “pastorale” può venire ridotta a un insieme di interventi umani, tanto per l’individuo, come per la collettività, centrata in assunti temporali. Per tanto, diventa chiara l’assenza delle dimensioni trascendenti, salvifiche e soprannaturali nella missione pastorale della Chiesa. È necessario insistere che la nostra riflessione teologica e le sue conseguenze pastorali devono partire dal dato rivelato”.
Parole chiarissime che riportano alla corretta epistemologia teologica contro le derive rahneriane per le quali il vero luogo teologico sarebbe la storia così che la Chiesa dovrebbe riconoscere nella attualità storica la voce di Dio relativizzando l’oggettività del Depositum fidei trasmessoci dalla Scrittura e dalla Tradizione. Il Cardinale ribadisce, invece, che la riflessione teologica e l’azione pastorale devono sempre partire dal dato rivelato, dalla Scrittura e dalla Tradizione.
Un discorso, quello del Cardinal Prefetto, che interroga ogni credente richiamando tutti e ciascuno, Pastori in primis, a quella obbedienza alla Verità che è amore fedele e fedeltà amorosa a Cristo e alla Chiesa.
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