“Difendi, conserva, prega”. Pasolini l’antimoderno




Saluto e augurio è la classica formula di commiato tra due amici o due amanti che, dopo aver condiviso mesi e anni di intesa relazione, si separano, desiderando vicendevolmente un futuro sereno. Pier Paolo Pasolini scrisse questa sua ultima poesia nel 1974, diversi mesi prima di essere ucciso (il 5 novembre del 1975 ad Ostia).

Pasolini si rivolge ad un giovane fascista, al suo nemico, prima che tra i due si crei un solco incolmabile, prima che il conformismo e le macchinazione del “nuovo fascismo” marchino anche questi, come i suoi coetanei capelloni. Lo fa con una certezza: “E’ quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano”. E’ il presentimento del suo omicidio o un nuovo proposito per la sua futura (rimasta incompleta) produzione letteraria? Non lo sapremo mai e a noi non rimane che gustare la poesia.

Lo scalpore che suscitò questo ultimo componimento della raccolta La nuova gioventù destò gli animi dei critici più impegnati che si soffermarono sul suo “reo” interlocutore piuttosto che apprendere il meglio dell’intelligenza pasoliniana. Come è spesso accaduto Pasolini non è mai stato compreso appieno e le sue profezie sono oggi veritiere ma con ritardo ci si è accorti del suo sguardo lucido e razionale sulla realtà italiana e internazionale.

Questa poesia è stata considerata in margine all’intera produzione pasoliniana rispetto agli scritti più di sinistra. Pasolini è passato alla storia come un rivoluzionario eterodosso e poco incline ad accettare l’ortodossia di partito. Eppure molti ignorano la sua vena tradizionalista, centrata nel denunciare la civiltà dei consumi che, come una valanga, distrugge il mondo contadino, dialettale e provinciale: il “mondo materno” dove siamo cresciuti prima di essere travolti dalla “civilizzazione”. Pasolini compie un gesto di recupero e di difesa della tradizione e dei valori della realtà contadina e rurale, genuina e cristallina, rispetto al plastico e conforme mondo moderno. L’utilizzo del dialetto friulano nella poesia non è casuale, ma mira al recupero linguistico e particolareggiato della propria identità nei confronti della lingua tecnica e conforme dell’Italia moderna.

Pasolini si riscopre in perenne rivolta contro la modernità, professando anche in questo caso un approccio eterodosso alla tradizione, non perdendo mai di vista il suo essere profondamente marxista. “Difendi, conserva, prega” è l’imperativo pasoliniano. “Taci!” sembra gridare il poeta al ragazzo intemperante. Non ha tempo da perdere e invita il giovane a difendere e a preservare la tradizione, il mondo contadino, la natura e la religione. La sacralità della vita e delle cose è messa in pericolo dalla civiltà e il giovane fascismo non può non difendere, “con mani di santo o soldato”, questo patrimonio di valori, la “Destra Divina” che alberga in ognuno di noi.

Non la destra democristiana o missina, ma la destra dello spirito, tradizionale e legata al senso del sacro. Da un incarico al ragazzo che nonostante questa fiducia che gli concede ancora lo odia (“ragazzo che mi odi”): “porta sulle tue spalle” questo fardello spirituale, “difendi, conserva, prega”, senza mai perdere di vista questi moniti.

Pasolini è inattuale e attuale allo stesso tempo, qui come in altri scritti. Il problema della modernità si palesa nell’agile e breve poesia pasoliniana, mostrando il nichilismo della nostra civiltà e la tradizione “divina” che è la panacea per la nostra malattia sociale.

di Alfredo Incollingo

Fonte: http://www.campariedemaistre.com

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