Una acuta riflessione sul cantante appena scomparso, fuori e molto al di là delle commemorazioni di maniera fatte per l'occasione da giornali e telegiornali, anche cattolici.

David Bowie: l’uomo che inventò se stesso




David Bowie, artista tra i più celebri, ha incarnato uno dei più bizzarri paradossi della modernità: scegliere l’anticonformismo come stile di vita e stazionare nel conformismo, in quel pensiero massificato condiviso da milioni d’individui.
Programma vecchissimo, in verità, a partire almeno dalla Gnosi dei primi secoli dell’anno Mille, secondo cui il mondo, così com’è, non va bene. Non solo, ma non va bene nemmeno la spiegazione che ne dà Dio che, rivelandosi ad Israele, parla di una sola verità e pone dei vincoli, visti dallo gnostico come privazioni della libertà. Certo, il Signore gli ha assicurato che questi vincoli lo porteranno alla liberazione, ma lo gnostico non gli crede.

In realtà il programma è ancora più antico e risale addirittura a Lucifero, che ringrazia Dio di averlo creato, ma lo congeda in malo modo perché vede nel servizio alla verità non una liberazione ma una schiavitù. Cambiano i nomi delle persone, cambiano i tempi e le strutture settarie, ma i contenuti di questo pensiero non cambiano mai e consistono nel non avere contenuti, ma un’unica martellante ossessione: voglio essere libero, voglio essere libero.

La Gnosi cambia spesso nome e la ritroviamo ora come mitraismo, ora come massoneria, ora come rivoluzione, ora come anarchia. Si mimetizza, ma è sempre nuda, perché dice sempre le stesse cose: io sono mio, mi faccio da me, voglio essere libero, voglio cambiare. Il problema però è la noia. Infatti lo gnostico vuole sì cambiare, ma non cambia mai e offre sempre il medesimo spettacolo di se stesso, veicolato da un fiume caotico di suoni, poesie, ragionamenti o normative in perenne contrasto tra loro. Inutilizzabili, insomma, anche perché invecchiano presto e devono essere sostituite da altri suoni, poesie, ragionamenti o normative, che non giungono mai a nulla, poiché sono fondate sul nulla.

David Bowie proviene, per età, da quella mutazione gnostica che fu il Sessantotto esistenzialista di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Michel Foucault, che intrapresero vie diversissime tra loro per approdare alle medesime notissime conclusioni di stampo marxiano: l’uomo è pura libertà, è lecito sovvertire tutto, anche le strutture sociali come la famiglia o i dati di natura come il sesso. Tutto qui. Davvero tutto qui, perché anche se ci fossero stati – come certamente ci furono – contenuti di pensiero validi ed originali, non avrebbero avuto consistenza e durata alcuna, per via del fatto che l’assunto principe delle teorie moderne è la negazione di una verità stabile.

Bowie superò se stesso. Benché omosessuale, non disdegnò affatto il rapporto con le donne, non perché bisessuale, ma perché accettare l’omosessualità avrebbe significato accettare un dato stabile nel tempo, una verità oggettiva. Qua fu il genio di Bowie: realizzare quella continua ribellione libertaria introdotta da Sartre e da molti altri. Inquadrare Bowie nella musica equivarrebbe ad insultarlo. Bowie decise di non avere alcun quadro e pensò, così, di liberarsi dalla conformità di pensiero e di azione.

S’ingabbiò invece nello stereotipo dell’uomo che s’inventa, comunissimo nel nostro tempo e accompagnato sempre da una certa espressione altera. L’uomo che s’inventa può essere un artista geniale, può essere un potenziale filosofo di valore, può avere capacità intellettuali e spirituali sublimi, ma non può impedire che tutto il suo impianto imploda e collassi, per la mancata e umile ammissione di un fondamento più alto del proprio io.

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