Dai Balcani radicalizzati parte il jihad «europeo»




C’è una Brigata Balcanica nell’esercito del Califfato che raccoglie fra le sue file un numero crescente di volontari, centinaia di giovani che lasciano le loro terre dove moschee e chiese condividono la stessa linea dell’orizzonte. In Siria e Iraq arrivano dal Kosovo, dalla Bosnia, dall’Albania, dalla Macedonia, incanalati, talvolta manipolati, da un network organizzativo che non può non avere estensioni e punti di connessione anche nella vicina e strategica Europa occidentale. Agli inquirenti italiani e internazionali è ormai nota da tempo l’esistenza di cellule terroristiche penetrate dai Balcani e operative sul nostro territorio. Un documento del ministero dell’Interno, citato dalla Rete per il giornalismo investigativo per i Balcani (Birn), parla di almeno cinque gruppi terroristici finora individuati, che si troverebbero a Milano, Roma, Lucca, Siena e in Liguria e sarebbero composti da emigrati musulmani provenienti da Albania, Kosovo, ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) e Bosnia-Erzegovina. Già una cellula balcanica legata allo Stato Islamico è stata smantellata in Piemonte dall’unità anti-terrorismo della polizia nel corso dell’operazione “Balkan Connection”. Sono finiti in arresto due presunti terroristi albanesi e un ventenne italiano d’origine marocchina che operavano tra la provincia di Torino e l’Albania e s’occupavano di reclutare combattenti. Il gruppo, secondo indiscrezioni, era in contatto con Anas el Abboubi, uno dei circa 50 foreign fighters di origine italiana operativo in Siria. Cifra fornita dal Centro Studi di per il terrorismo di Londra, secondo cui sono 20mila i “foreign fighters” arruolati in gruppi legati ad al-Qaeda. Centocinquanta di questi sono albanesi, Paese dove a marzo è stata scoperta una cellula sospettata di aver inviato in Siria almeno 50 combattenti, alcuni con le proprie famiglie. Sette persone, compresi due imam, sono state arrestate.

Quello della cellula piemontese non è il primo caso di infiltrazione terroristica dai Balcani in Italia. A Sarajevo è sotto processo il radicale islamico Husen Bosnic, detto Bilal, figura nota anche ai Ros in Italia per aver spinto al jihad almeno uno dei foreign fighters italiani – l’imbianchino bellunese Ismar Mesinovic – mentre si trovava nel nostro Paese per una serie di predicazioni in moschee del Nord-Est. Bosnic ha rilasciato un’intervista in cui, a proposito di “guerra santa” in Europa, ha dichiarato: «Il nostro obiettivo è fare in modo che anche il Vaticano sia musulmano». Oggi è accusato dalla Procura centrale bosniaca di incitamento al terrorismo, reclutamento e organizzazione di gruppi terroristici. L’imam è il leader spirituale di Gornja Moaca, piccola località abitata da una comunità wahhabita, dove di fatto è in vigore la sharia e dove sono state avvistate sui tetti bandiere nere del Califfato. Secondo i procuratori bosniaci, i guerriglieri che hanno raggiunto l’organizzazione di Abu Bakr al-Bagdadi sono circa 150. C’è allerta anche in Macedonia, dove secondo i media sarebbero una cinquantina i volontari dell’Is, tutti di etnia albanese. Ma è il Kosovo lo Stato balcanico dove network e propaganda del Califfato sembrano aver trovato il terreno più fertile. Secondo il ministro dell’Interno kosovaro Skënder Hyseni, dalla piccola Repubblica, vasta appena come l’Abruzzo con solo un milione e 800mila abitanti, sarebbero partiti già in trecento per unirsi ai militanti sunniti fra Iraq e Siria; nell’ultimo anno quasi 200 persone, fra cui diversi imam, sono state arrestate con l’accusa di aver reclutato combattenti, un centinaio è ancora in stato di fermo. Le ultime retate sono proprio di questi giorni, fermate alla frontiera anche due ragazze minorenni determinate a partire per il Medio Oriente. A Pristina è in corso un processo a sette cittadini kosovari per detenzione illecita di armi ed esplosivi, attività legate al terrorismo e aggressione contro due missionari cristiani statunitensi. L’imam Zeqirja Qazimi è accusato di istigazione al terrorismo, Ilir Berish viene considerato l’anello di collegamento fra il Kosovo e il leader della Brigata Balcanica in Siria, Lavdrim Muhaxheri, uno dei discepoli di Qazimi, probabilmente rimasto ucciso a Kobane nel mese di gennaio. Il suo profilo Facebook pubblica ancora fotografie di decapitazioni e una immagine dove lui stesso taglia la gola a una giovanissima vittima. Secondo informazioni non confermate, l’uomo avrebbe lavorato a Camp Bondsteel, la principale base statunitense sotto il comando della Kfor, la missione a guida Nato in Kosovo. Lui e tutta l’organizzazione terroristica operativa nel Paese si sarebbero occupati di fare arrivare i giovani volontari dell’Is in Siria attraverso l’aeroporto turco di Hatay.

«In Kosovo la radicalizzazione wahhabita è in aumento dal 1999. Con la fine della guerra sono arrivate varie fondazioni dei Paesi arabi che hanno favorito l’indottrinamento di predicatori affini al radicalismo islamico», spiega, davanti alla sua moschea a Drenas, Osman Musliu, imam aggredito nel 2009 per aver denunciato apertamente il pericolo della radicalizzazione wahhabita e che è ancora sotto minaccia. «Il nostro è sempre stato un Paese di tradizione moderata, che segue la scuola di pensiero islamico Hafani. Oggi però ci sono un centinaio di imam che predicano il wahhabismo. Operano in moschee di confine, verso la Serbia e la Macedonia. A Gjilan, a Kacanik, ma anche a Ferizj, Skenderaj, Mitrovica. Sono riusciti a guadagnare terreno in zone dove è mancata una presenza forte dell’islamismo moderato e hanno così colmato un vuoto – spiega Musliu –. Arruolano foreign fighters illudendoli con le false promessa di soldi e ricchezze. Oppure manipolano giovani dalla personalità fragile». Secondo Musliu, la situazione si è aggravata sotto il mandato di Naim Tërnava alla guida della Comunità islamica del Kosovo: «L’attuale Mufti favorisce e protegge gli imam di tendenze wahhabite e radicali invece di rimuoverli dalla predicazione». E intanto la comunità islamica del Kosovo continua a incassare pubblicamente periodici finanziamenti da fondazioni saudite già collegate al network dei finanziatori di al-Qaeda. Ce lo spiega Visar Duriqi, giornalista investigativo della Gazeta Express di Pristina: «Nuove moschee sono state costruite in Kosovo con l’aiuto Al Waqf al Islami, una Ong fondata da Ahmad Al Hussaini, personaggio incluso dall’intelligence Usa nella lista dei venti uomini di affari finanziatori del gruppo fondato da Benladen». Ma l’elenco delle Ong attive nei Balcani e che simpatizzano col terrorismo è articolato, come si legge nella nota spedita dall’ambasciatore Philip Reeker a Washington e pubblicata da Wikileaks (“09Skopje95”). Dopo le sue denunce, Visar Duriqi si è visto infliggere dai radicali, con una fatwa, una condanna a morte che non conosce scadenza. A questa sono seguite varie minacce che lo hanno costretto ad abbandonare il Kosovo e a rifugiarsi in Germania.

di Marco Benedettelli

Fonte: http://www.avvenire.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *