Si chiamano Jehad, Joumana e George: sono una famiglia siriana, una famiglia comune del ceto medio, si direbbe dalle nostre parti: lui dipendente di una ditta di computer, lei insegnante nelle scuole dell’infanzia, entrambi sulla cinquantina, il figlio sedicenne impegnato a scuola e nelle attività di un qualsiasi adolescente. Qualche settimana fa i tre sono stati accolti da Mons. Crepaldi. Perché sono dei profughi. La famiglia Farwe è infatti tra le quasi ottocento persone giunte in Italia attraverso i corridoi umanitari, il progetto-pilota realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese.
Una storia come purtroppo molte altre
Jehad, Joumana e George sono arrivati a Trieste il 27 aprile scorso. Vengono da Laodicea, città storica (fu colonia romana), uno dei porti più importanti della Siria e oggi realtà multiculturale dove fino a poco tempo fa la pacifica convivenza si respirava nella quotidianità. Nell’asilo di Joumana giocavano assieme bambini cristiani e musulmani. Poi, improvvisamente, con la guerra comincia a cambiare tutto, incrinando lentamente, ma in modo sempre più marcato, i rapporti tra le due comunità, fino ad arrivare alla totale esclusione sociale dei cristiani. E infine i bombardamenti aerei, con la città lasciata in mano alle bande e alla criminalità, che iniziano a dedicarsi anche ai rapimenti per ottenere dei riscatti. Il rapimento di alcuni ragazzi nella scuola di George è l’episodio decisivo per la scelta di abbandonare la città e cercare una via di fuga in Libano, assieme ad altre migliaia di persone. Lì, Jehad, Joumana e George hanno incontrato la Comunità di Sant’Egidio e hanno avuto la fortuna di essere selezionati assieme ad altre persone (non tutte di fede cristiana) per entrare nel progetto dei Corridoi umanitari.
A Trieste
Oggi vivono a Trieste, ospitati in un appartamento messo a disposizione dalla parrocchia di S. Teresa del Bambin Gesù, dove sono stati calorosamente accolti da tutta la comunità. Hanno avviato l’iter per ottenere lo status che consentirà loro di vivere in Italia, stanno studiando la lingua italiana e pian piano si stanno inserendo nella nuova realtà, frequentando la chiesa di via Metteotti (nonostante lui sia cristiano maronita e lei cristiana ortodossa), mentre George si appresta a partecipare al campo estivo organizzato dalla parrocchia. All’orizzonte, la sua iscrizione in uno degli istituti scolastici cittadini. Da parte della famiglia, infatti, c’è il pieno desiderio di conoscere la città e sentirsene parte: si spostano sempre a piedi per conoscerne ogni singolo angolo e per incontrare le persone, anche se al momento si sentono come dei pesci — raccontano — , vista ancora la difficoltà con la nuova lingua. E tuttavia si sentono un po’ a casa: grazie forse alla sua natura cosmopolita, Trieste offre delle similitudini con la Siria. Negli edifici riconoscono molti palazzi della loro terra, così come nell’atrio della curia vescovile. E pure i sapori sembrano non essere tanto lontani.
L’incontro con Mons. Crepaldi si è svolto in un clima di piena cordialità: Joumana ha regalato al Vescovo una bellissima stola fatta con le sue mani frequentando il laboratorio avviato dalla Comunità di Sant’Egidio, mentre il Vescovo, molto colpito dalla loro storia, ha espresso la sua soddisfazione nel constatare come la Chiesa triestina sia stata così pronta e contenta di accogliere la loro famiglia. «Dobbiamo ringraziare il Signore che ha voluto la vostra vita», ha concluso, proponendo quindi una preghiera finale.
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