Il progetto Porcospini, che si vuol far passare nelle scuole, non convince e ancora meno il contesto in cu si colloca. I figli non sono del ministero della pubblica istruzione.

Credono ancora a Babbo Natale e vogliono insegnargli il sesso




Caro Direttore,

le scrivo reduce dall’incontro con lo psicoterapeuta Alberto Pellai, organizzato dal Comune di Trieste il 3 dicembre all’Università di Trieste.

Il tema dell’incontro era chiaro: “Non più parole non dette. Come e perché fare con i bambini la prevenzione primaria dell’abuso sessuale”. Il relatore ha presentato in modo brillante il tema snocciolando dati e testimonianze. Ha sostenuto che il 5-7% della popolazione (una persona su 20) ha subito vari gradi di molestie sessuali nel corso dell’infanzia; ha raccontato come il silenzio e il tentativo di rimozione sono le reazioni più diffuse; ha sottolineato che chi molesta è, spesso, conosciuto alla persona molestata o addirittura un membro della famiglia; ha dimostrato come l’ordine “non accettare nulla dagli estranei” non sia sufficiente a proteggere i bambini capaci di considerare “amico” un adulto che regali loro delle figurine; ha sostenuto che è emerso da alcune ricerche che chi ha seguito dei corsi di sensibilizzazione in età giovanile ha il 50% di probabilità in meno di subire molestie perché ha acquisito una certa capacità di difendersi. Non sono mancati poi dei momenti in cui l’autore di numerosi libri sulla psicologia di ragazzi ed adolescenti ha spiegato come manchi un certo tipo di rapporto fra genitori e figli, specialmente sui temi della sessualità. Lo ha fatto anche affermando che, spesso, i genitori non hanno la percezione di cosa sappiano i figli e di che terminologia usino. E’ stata anche proiettata parte di una puntata del programma televisivo “Melevisione” (RAI 3) dal titolo “Il segreto di Fata Lina” che tratta il tema. Fin qui niente da dire su quanto è stato detto e su come queste problematiche siano state affrontate.

Il problema viene dopo…

Dai libri del prof. Pellai hanno preso forma dei corsi con diverse denominazioni rivolti agli studenti della scuola primaria (elementare). Vita Nuova, ad esempio, ha già parlato del “Progetto Porcospini” ora in corso in alcune scuole triestine grazie alla collaborazione dei Lions Club. Nel dialogo con una parte minoritaria del pubblico sono emerse alcune obiezioni alle quali il prof. Pellai ha dato risposte evasive ed è arrivato quasi al punto di prendere le distanze da questi corsi, sostenendo che lui si limita a scrivere dei libri (“Le parole non dette” in particolare). Ad esempio, quando una madre ha letto la parte del programma del corso rivolto a bambini di IV e V elementare (8-9 anni) che prevede di “scoprire cosa vuol dire innamorarsi, far l’amore, concepire un bambino, gravidanza e parto” il professore è stato alquanto evasivo. Anche sull’ “aumentare la conoscenza del proprio corpo” Pellai ha iniziato sostenendo che viene fatto con il gioco dei “quattro cantoni” andando a raggruppare nei vari angoli chi ha gli occhi azzurri o marroni o i capelli biondi o ricci, ma non ha specificato come si sarebbe arrivati a dividere i bambini secondo il sesso. Si è poi vantato anche che, negli incontri, vengono utilizzati i termini comunemente utilizzati dai bambini che sanno che “scopare” equivale a “fare l’amore”, tutte cose che i genitori non sapranno mai dai figli, secondo il docente, che sostiene che per questo c’è necessità di chi li sappia ascoltare, come chi tiene i corsi.

Anche nel dare risposta alla domanda “è vero che i bambini vengono invitati a toccarsi parti specifiche del corpo, nessuna esclusa?” il prof. Pellai ha spiegato che è il gioco del “semaforo”: giallo, verde o rosso, a seconda di chi compie il gesto e dell’ambiente in cui viene compiuto i bambini possono accettare di farsi toccare o meno. Caro Direttore, viene chiesto a bambini di 8-9 anni di “scegliere” da quali compagni di classe possono farsi toccare ed in quali parti…

Dal pubblico è stato anche segnalato che i ragazzini di 9 anni non possono rispondere ad inviti come “scrivi cose belle e cose brutte sul sesso”, per il semplice motivo che molti non sanno neanche di cosa si stia parlando. Eppure sono costretti a questo, essendo questi progetti “curriculari” in alcune scuole, vengono svolti senza informare dettagliatamente i genitori e senza ottenerne un consenso consapevole.

Al termine dell’incontro, da alcuni genitori i cui figli già hanno seguito i corsi, è emerso che molti bambini sono tornati sconvolti da queste lezioni, con poca voglia di parlare e di partecipare alla lezione successiva. Ai bambini è stato detto: “non parlate di queste cose a casa, non portate a casa il quaderno (“Caro Diario”) che vi facciamo scrivere”. Altro che “Non più parole non dette.”…

Caro Direttore, che dire? Manca, come ha sostenuto un genitore intervenuto riferendosi a questi corsi, una dimensione estetica ed etica della sessualità. Con questi corsi si delega a persone sconosciute e di cui non è nota la formazione, ma che i bambini facilmente possono confondere come “insegnanti”, argomenti molto delicati su cui i genitori possono avere una propria idea in disaccordo con quella di questi “educatori”. Perché poi il “non fidarsi degli estranei” non dovrebbe valere per loro? Con la scusa di preservare i bambini dalla violenza sessuale viene fatta passare una visione della vita e della sessualità che non tutti condividono, in modo “obbligatorio” e senza informarne i genitori.

Da ultimo aggiungo che alcuni genitori hanno preparato un modulo in cui chiedere ai dirigenti scolastici di essere informati, in modo dettagliato, sui corsi che vengono proposti ai loro figli nell’ambito scolastico.

Caro Direttore, come crede si possa intervenire? come mettere in allarme i genitori? come opporsi a questa banalizzazione del sesso portata avanti in questi corsi di educazione sessuale che snaturano la sessualità e la propongono in modo distorto ed in un periodo estremamente precoce della vita?

 

Marco Gabrielli

 

Caro Gabrielli, da molto tempo Vita Nuova si occupa di questo problema, dando espressione alle gravi preoccupazioni dei genitori triestini. Nella sua lettera lei già esprime delle valutazioni che condivido. L’educazione sessuale sta diventando il luogo della deformazione istituzionalizzata del vero senso della sessualità e quindi delle relazioni personali. Le buone intenzioni, se pure ci sono, come per esempio la cosiddetta prevenzione degli abusi sessuali, sono poi travolte sia dai contenuti che banalizzano e svuotano la sessualità, sia dai metodi, che non coinvolgono i genitori e non tengono conto della maturazione dei bambini (vogliono parlare di sesso a chi crede ancora a Babbo Natale!).

Ma ammettiamo anche che il progetto Porcospini sia equilibrato e positivo (ammettiamo!). In quale contesto si colloca? Nel contesto delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che vuole iniziare i bambini alla masturbazione precoce come conoscenza del proprio corpo e che vorrebbe che fossero istruiti sull’uso dei preservativi a undici anni; nel contesto della recente convocazione dei dirigenti scolastici a Roma per un corso sull’educazione al gender nelle scuole; nel contesto del disegno di legge dell’onorevole Valeria Fedeli (del PD) per rendere obbligatoria l’ideologia gender nelle scuole; nel contesto delle sperimentazioni di simili insegnamenti nelle scuole materne del comune di Roma; nel contesto dei genitori tedeschi arrestati per non aver mandato la figlia al corso di educazione sessuale; nel contesto dei tanti giovani che hanno assistito obbligatoriamente a infiniti corsi di educazione sessuale e nessuno ha detto loro cos’è l’amore vero.

Caro Gabrielli, è l’ora dei genitori e degli insegnanti. Si riapproprino del loro ruolo. I figli non sono del ministero della pubblica istruzione.

Stefano Fontana

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