Dopo l'articolo-denuncia di Amedeo Rossetti, un approfondimento sul "gioco del rispetto" dove per natura si intende il desiderio.

Come sovvertire la realtà




A proposito di “Pari o dispari? Il gioco del rispetto”, di cui al precedente articolo di Amedeo Rossetti De Scander e che consiste, tra l’altro, nello sdoganare il gioco del dottore tra bambini, è assai interessante visionarne i contenuti, presenti sul sito web di riferimento (giocodelrispetto.org).

Si apprende che si tratta di un «progetto» sperimentato, per ora, da «quattro scuole pilota della regione Friuli Venezia Giulia». Si apprende, inoltre, che il problema non sta solo in ciò che avviene durante il gioco ma, soprattutto, nel risultato finale: se durante il “gioco” – si legge – «quei bambini e quelle bambine si sono domandati quali fossero le famose “cose da maschi” e le famose “cose da femmine”», dopo il “gioco” «i maschi hanno scoperto che possono esprimere i loro sentimenti, se lo vogliono, e le femmine hanno scoperto che possono giocare a calcio, se piace a loro». Insomma – chiosa entusiasta l’anonimo redattore – «tutti hanno scoperto che “pari opportunità” significa innanzitutto “libertà”».

Ovvero, traducendo il testo forzosamente ambiguo, l’obiettivo reale del “gioco” è di «ridurre il gender gap» (la differenza di genere maschile e femminile) e non le «discriminazioni nei confronti delle donne e la violenza di genere». C’è il tentativo – occultato ma evidente – non tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma d’indurre la nota “ideologia del gender”, che prevede l’assoluta libertà di scegliersi il sesso a capriccio.
A cosa si gioca? Cosa prevede il «kit»? Il sito web è molto vago, volutamente vago. Si guarda bene dal dire ciò che è stato documentato nel precedente articolo di Rossetti e, cioè, che il “gioco” prevede per i bambini di «esplorare i corpi dei loro compagni/e», nonché di «riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell’area genitale». Già questa è prassi di una discreta gravità, che si potrebbe dire immorale, anche se non ancora ideologica. Ma dove l’ideologia esplode rovinosa è nell’aspetto propriamente ludico dell’attività: si tratta, in sintesi, di uno scambio di ruoli, in cui maschi e femmine compiono atti e mestieri propri del sesso opposto.

Nessun esempio è riportato, se non un’immagine in cui si vede un bambino e una bambina intenti a stirare. Sotto alla bambina si legge «casalinga» e sotto al bambino «casalingo». Non si tratta di una banale situazione di aiuto reciproco. Anzi, col pretesto di proporre una banale situazione di aiuto reciproco – lo stirare una camicia – si vuole convincere il bambino che non ci sia nulla di propriamente maschile o femminile e che, viceversa, la dimensione maschile o femminile sia un mero dato culturale.

Il «comportamento» – si specifica – non deve avvenire «secondo stereotipi costruiti, ma secondo i loro naturali desideri». Così anche la pratica della sessualità e delle attività legate al sesso – in questo è la gravità dell’iniziativa – sarebbe uno «stereotipo», una mera decisione culturale, non un dato della realtà.
Cioè s’insegna che è del tutto indifferente la distinzione maschile/femminile, che è del tutto normale contrastare le leggi della natura, che le medesime leggi non hanno nulla di oggettivo, che l’uomo può gestire a piacere la realtà, che non esiste una mala gestione che procurerà delle sofferenze, che non esiste una buona gestione che salverà l’uomo, che la realtà si esaurisce nella sfera soggettiva, che non esiste uno stato oggettivo delle cose e dei fatti, che il mondo è posto dunque a caso, secondo la regola del capriccio, del piccolo piacere immediato, del presente senza futuro, degli effetti senza le cause, dei risultati senza una logica.
Ideologia, appunto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *