Colonia e l’Epifania




Ai più, spesso anche credenti, in generale la città di Colonia oggi non dice granché. Si sa che è una metropoli popolosa, certo, tra le più importanti economicamente della Germania essendo il fulcro del Land renano, che praticamente da sempre rappresenta uno dei grandi motori industriali trainanti della civiltà tedesca, poi che esercita una certa attrazione turistica, ancorché non ai livelli di altre e ben più blasonate metropoli del Paese, e al massimo che ha una discreta squadra di calcio in Bundesliga che in passato ha raggiunto anche traguardi di livello internazionale, se proprio vogliamo esagerare. Che invece proprio qui, a Colonia, si trovi un Duomo tra i più maestosi e inimitabili dell’età gotica – l’Hohe Domkirche St. Peter und Maria – e che proprio al suo interno, non a Roma, Parigi, Gerusalemme o altrove, siano conservate le reliquie dei Re Magi, queste paiono essere cose di modestissima e relativa importanza, chissà perché. Invece, a nostro avviso, proprio da questi fondamenti bisognerebbe ri-partire per la Nuova Evangelizzazione del mondo tedesco e mitteleuropeo in genere: non perché siamo particolari cultori del Medioevo o del passatempo della storia per la storia, ancorché essa, come insegnavano gli antichi, in tutte le epoche resta una straordinaria magistra vitae,ma proprio perché nei giorni in cui la Cristianità intera ai quattro angoli del globo celebra l’Epifania mettere tra parentesi Colonia significherebbe perdere un irripetibile occasione di entusiasmante contro-cultura, giovanile e dotta, popolare e nobile al tempo stesso. Non a caso proprio qui in uno dei suoi primi viaggi apostolici continentali Benedetto XVI consegnò all’uditorio raccolto per la GMG, nella sua densissima, pregnante brevità, uno dei discorsi più magistrali – in tutti i sensi – oltre che solitamente sottaciuti dagli studiosi del suo pontificato (https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2005/august/documents/hf_ben-xvi_spe_20050818_cologne-cathedral.html).

Anche in quell’occasione, tra i numerosi altri passaggi degni di nota – la rievocazione dello spirito universalista di Colonia come la ‘Roma del Nord’, la distintiva cattolicità dei suoi abitanti, figlia di una storia locale di tradizione sentita e vissuta quasi bi-millenaria, la ricorrenza singolare del luogo nelle biografie di Santi e Sante di prima grandezza, da San Bonifacio a San Tommaso d’Aquino a Santa Teresa Benedetta della Croce, e scusate se poco – l’ex Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede approfittò dell’occasione proprio per tornare sul ruolo che i Re Magi hanno svolto nel corso della storia per Colonia fino a spingersi a dichiarare che [senza di loro] “la città non sarebbe quella che è” e anzi che fu proprio per loro – per i Magi, venuti dall’Oriente – che “Colonia ha fatto fabbricare il reliquiario più prezioso dell’intero mondo cristiano e ha elevato su di esso un reliquiario ancora più grande: il Duomo di Colonia. Con Gerusalemme la “Città Santa”, con Roma la “Città Eterna”, con Santiago de Compostela in Spagna, Colonia, grazie ai Magi, è divenuta nel corso dei secoli uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti dell’Occidente cristiano”. E tutto questo, aggiungiamo noi, nelle guide del Touring Club di sicuro non c’è. Ma il peggio, e qui volevamo arrivare, è che spesso non c’è nemmeno nella memoria dei battezzati adulti di oggi che guardano anche il 6 gennaio – ammesso che poi lo facciano davvero – a Colonia come si guarda a Pescasseroli o Canicattì, con tutto il rispetto per Pescasseroli o Canicattì, ci mancherebbe. Così, travolti dalla contagiosa moda del ‘presentismo’ (come alcuni chiamano il culto semi-religioso del tempo presente, per capirci) dominante magari alla fine siamo portati anche noi a seguire i luoghi comuni che vanno per la maggiore a partire dal fatto che in Germania non ci sarebbe poi granché da vedere, né da imparare e che – addirittura – con il cattolicesimo queste terre non abbiano nulla a che fare come se il Sacro Romano Impero fosse stato una barzelletta di una notte e nomi come quelli di Josef Pieper e Eric Voegelin ieri o, oggi, Robert Spaemann, venissero fuori così dal nulla non si sa bene in che modo. In ogni caso, non è un discorso culturale, o almeno non solo. E’ il fatto – più che l’idea – che davanti all’Arca dei Magi nel Duomo, la celebre Dreikönigenschrein, o dall’alto dei 150 metri d’altezza delle due torri che proteggono svettando in Cielo la cattedrale medesima, ogni altro discorso – per quanto grande – degli odierni leader carismatici della pubblica piazza viene restituito al posto che più propriamente, e ordinariamente gli spetta, verrebbe da dire, cioè la quasi totale irrilevanza. Non perché sia manchevole di questo o quell’altro elemento, ancorché spessissimo in effetti lo sia. Ma perché dinanzi all’improvvisa manifestazione sfolgorante e gloriosa del Mistero che salva ogni parola risulta inadatta, inutile, persino offensiva. D’altra parte, è quello che fecero i Magi che – riferisce il Vangelo – “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono” (cfr. Mt 2,11). Per custodire le loro spoglie nel XIII secolo venne innalzato quello che oggi l’UNESCO definisce con comprensibile enfasi un inestimabile patrimonio internazionale da proteggere, valorizzare e ammirare: ma non era certo per scopi artistici che i Magi intrapresero quella notte il cammino che avrebbe cambiato per sempre, da allora in avanti, il destino del mondo e dell’umanità intera.

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