Centomila e più: Presente!




Tutte le volte che si passa davanti al Sacrario di Redipuglia non si può non chiedersi a cosa è servito tanto dolore, perché sono morti migliaia di giovani. Per Trieste italiana, per l’amore di Patria, sentito come grande speranza, con fiducia e spirito di sacrificio; tutti valori che oggi sembrano sfumare in vecchie foto ricordo.
Valori ricordati domenica 4 novembre nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale e la celebrazione della Giornata delle Forze Armate, con l’auspicio che servano di monito alle nuove generazioni, perché prevalga la cultura di pace e di collaborazione tra i popoli. Il Presidente ha voluto altresì ricordare anche gli eserciti di quei Paesi che «combatterono con uguale valore e sacrificio, accanto o contro il nostro» esprimendo riconoscenza ai loro rappresentanti per la partecipazione alla cerimonia di piazza Unità.
Le guerre sono sempre tragiche, fallimenti delle classi dirigenti di un Paese, producono miseria, dolore, sofferenze e lutti. Fu così pure per la Grande Guerra dove perirono milioni di ragazzi di fame, gelo, terribili epidemie e micidiali armamenti, spesso anche a causa di una conduzione spietata degli Alti Comandi.
La maggior parte della popolazione non era favorevole alla guerra all’Austria, sacrifici e dolori furono condivisi anche sul “fronte interno” dove si venne a formare una partecipa attiva e consapevole.
Il pensiero del Presidente è andato anche alle donne che si prodigarono per assistere feriti, crescere da sole i propri figli, cucire abiti, accudire gli anziani. Non fu solo una guerra di soldati, le sofferenze non risparmiarono la popolazione civile.
Su il “Corriere della Sera” del 4 novembre è apparsa anche una lunga intervista dove il Capo dello Stato indica, fra gli insegnamenti da trarre, che «l’Amor di Patria non coincide con l’estremismo nazionalista» e «l’Amor di Patria oggi è inscindibile con i principi della nostra Costituzione, che ne sono il prodotto e il compimento».
Dobbiamo considerare che l’orizzonte del bene comune si è allargato, «richiede apertura di pensiero e iniziative modulate sulla misura di questo nuovo, più ampio scenario». È in questa prospettiva di analisi, anche sugli «spettri del passato», che il Presidente riconosce come «l’Europa si è consolidata nella coscienza degli europei». Ciò che finora si è raggiunto a livello pragmatico nello «sviluppo delle libertà, delle opportunità, delle risorse tecniche, economiche, culturali, civili» potrà reggere solo se emergerà un “uomo europeo”.
L’uomo non è solo materia o prodotto politico-economico, ha un’anima che, come ricordava con lungimiranza Giovanni Paolo II a Strasburgo nel lontano 1988, va salvaguardata per assicurare la «sua coesione spirituale». Solo così l’Europa troverà «una nuova tappa della sua crescita tanto per se stessa che nel suo rapporto con il resto del mondo». E anche Giovanni Reale intuì che questo processo di costruzione, dalla “complessa identità”, dell’uomo europeo «è la cosa più difficile da fare, ma anche oggi, la più urgente», perché non si può prescindere arbitrariamente da quelle che sono le sue «radici culturali e spirituali».

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