“Cavalli, cavalieri e battaglie”




Anche se i suoi soggetti sono in gran parte tratti dalla storia — con qualche felice sconfinamento nella leggenda e nel mito —, il pittore Sergio Budicin nella sua ultima mostra “Cavalli, cavalieri e battaglie”, allestita presso la Sala comunale d’Arte fino al 26 marzo, srotola sotto i nostri occhi un arazzo brillante intessuto con i fili più diversi. La storia è solo lo sfondo da cui escono eventi e personaggi che hanno segnato e orientato il nostro passato e il nostro presente, fino a toccare le sponde ancora informi e imprevedibili del futuro. Accanto alla rievocazione storica, mai freddamente realistica, ma sempre soffusa di una luce e di una vivacità cromatica quasi fiabesche, l’artista riesce a stendere su questi arcipelaghi antichi un’aura di sogno, di poesia e di incanto.

Chi sono questi giganti indimenticati e indimenticabili che popolano ancora i libri di storia e che oggi ricorrono con costanza crescente anche nel cinema e perfino nel fumetto, nonché nell’arte letteraria e figurativa? Alessandro Magno, Carlo di Valois, Giovanna d’Arco, Gengis Khan, San Giorgio, Carlo Martello, Sir Lancelot e Riccardo Cuor di Leone sono in gran parte i protagonisti di queste fastose rievocazioni storiche.

Accanto o dietro a loro sfilano personalità più anonime e colte in gruppo, come i cavalieri arabi, i charros messicani, i cavalieri della storia inglese e quelli del ciclo arturiano impegnati in magnifici tornei, gli indiani d’America e gli ultimi pionieri di Mountain Main. Oltre ad Apollo, ritratto nell’impeto della sua corsa attraverso i cieli con una quadriga trascinata da un incendio d’oro e di fiamme, e al favoloso Pegaso che si slancia leggero e divinamente perfetto verso gli spazi d’etere, un altro personaggio più leggendario che storico è Sir Lancelot. Un giovane bellissimo dagli occhi profondamente umani e intelligenti, ma già velati dal triste presagio di un tragico destino. È affascinante il modo in cui Budicin cattura questa nota di gentile e struggente malinconia nello sguardo pur luminoso e buono del cavaliere, rappresentato da Budicin con una nota di ammirazione per la sua bellezza e con uno sguardo di triste consapevolezza dell’intimo e misterioso legame tra la nobiltà interiore, la beltà esteriore e il sigillo di un fato avverso. Fascino e malinconia si abbracciano e stringono il cuore, ricordando che muoiono giovani coloro che sono amati dagli dei.

Le cornici entro in cui gli eroi si stagliano sfolgoranti nelle loro armature sono di volta in volta battaglie, cavalcate, cimenti in armi, imprese magnifiche e anche modi di vita un po’ esotici per noi, come la passione selvaggia e violenta per la caccia e la fervida  frenesia di lunghe e tumultuose cavalcate in immensi spazi, sull’onda di una tormentosa sete di conquista. Emergono così dall’abisso del tempo quelli che il filosofo e critico letterario ungherese György Lukács (1885-1971) definiva gli snodi principe della storia, in cui convergono forze politiche e spirituali e correnti di emozioni e di pensieri molto diverse che, nel grande evento, cercano una risoluzione dei contrasti e un’evoluzione felice del proprio corso. Sono epifanie di senso che sorgono come onde altissime nell’oceano della storia, inaugurando un ciclo nuovo di maree, ora provvidenziali e necessarie, ora fatali e distruttive.

L’altissima risoluzione delle immagini è ottenuta con una grande padronanza dei mezzi espressivi nel disegno e nel colore. Una lucentezza vivida e a tratti irreale dell’impasto cromatico esalta la resa del paesaggio, delle vesti, degli equipaggiamenti bellici dei personaggi e dei finimenti preziosi dei cavalli. La precisione e la limpidezza del dettaglio e le velature delicatissime, che effondono su ogni figura una brumosa ma vivida evanescenza, creano un’atmosfera di lontananza e di miraggio. Una luce vaporosa e dolce scende da cieli mai limpidi e tersi, ma sempre solcati da qualche nuvola che veleggia senza meta scrutando le alterne fortune degli uomini.

Da questa commistione di tecniche e di sensibilità nasce il carattere inconfondibile della pittura di Budicin. Dalle lontananze del tempo, come proiettate da una lanterna magica sullo schermo sempre mutevole della storia, si muovono a schiere le imprese celebri di Alessandro Magno, le corse impetuose e maestose dei cavalli bardati preziosamente, gli scontri bellici dal respiro epico e corale, realistici e insieme ammantati di fiaba, la lotta di San Giorgio con il drago, che è un gioco finissimo di colori simbolici, la conquista di Gerusalemme per mano di Riccardo Cuor di Leone e la maestosa e regale Giovanna d’Arco sul suo possente cavallo, in un intreccio di colori cupi e insieme brillanti che evocano la lotta tra il bene e il male.

Osservando con attenzione ogni particolare dei dipinti e contemplando allo stesso tempo l’insieme così vivace e puntigliosamente ricostruito nella sua veste storica, può accadere che all’improvviso cadiamo nell’illusione di camminare su un crinale fragilissimo. I confini tra il nostro punto di osservazione nel presente e gli eventi richiamati dal passato si spezzano come per incanto. Allora, quasi travolti da quella misteriosa vertigine sensoriale suscitata da alcune opere d’arte e nota come sindrome di Stendhal, veniamo scagliati vorticosamente in mezzo ai campi di battaglia. Ci sembra di essere lì in carne ed ossa, di calcare quella terra lontana, di udire il fragore dello scontro con il cozzare di armi, lo scalpiccio frenetico dei cavalli e le urla di dolore o di trionfo dei guerrieri. Perfino l’odore della polvere è percepibile e per qualche attimo estatico noi siamo altrove, negli universi mutevoli nascosti nelle profondità inesplorate delle cornici, anche noi personaggi e testimoni silenziosi precipitati nell’abisso del tempo. È questa un’altra sottile magia della pittura di Budicin, realistica nella resa scenica e nella cura del dettaglio, ma favolosa e magica nel sapiente uso dell’arte della meraviglia e dell’illusione.

A stemperare la vorace fame di gloria scritta sui volti ebbri di guerrieri e conquistatori, Budicin invita al suo banchetto anche il cavaliere dalla trista figura Don Chisciotte, sbalzato dal suo cavallo nell’atto di colpire le pale di un mulino a vento. Il suo trasalimento, candido e insieme stordito, con il povero Sancho che gesticola un po’ discosto e come bloccato dall’imprevisto accidente in un gesto di impotenza e di stolta rassegnazione, sembra chiudere idealmente la galleria dei fulgidi ritratti. Non sono questi mirabili eroi, con le loro illusioni di potere, ambizione e gloria, la causa che scatena la follia di Don Chisciotte? E questa follia, così ben evocata nei gesti e nelle espressioni dei due folli sognatori, non è forse una folgorante nota ai margini in cui l’artista scrive, dopo aver cantato la grandezza delle imprese umane, una sorta di apologo sulla loro insensatezza e labilità? Una visione molto ampia, quella di Budicin, che nell’atto stesso di celebrare l’uomo faber, artefice del proprio destino e delle sorti del mondo, per un attimo si ferma e nel volo tragicomico del cavaliere folle decanta l’essenza effimera di ogni passione umana.

Questa doppia visione nulla toglie allo sfarzo del suo corteo di grandi. Nella sua opera di evocazione e celebrazione dei cimenti gloriosi di re, cavalieri e condottieri senza paura, Budicin sbalza una sorta di libro d’oro di miniature antiche. Dalla miniatura infatti l’artista riprende la cura e la perizia dei particolari, la brillantezza quasi trasfigurata dei colori, la ricerca delle risonanze simboliche nella combinazione cromatica. Nulla è causale, anche le sfumature evocano uno sfondo di significati e di riflessioni silenziose che gravitano su questi affreschi potenti che dilatano e deliziano lo sguardo. Per questa ragione, anche senza conoscere i precisi eventi storici che hanno ispirato l’arista, è impossibile resistere alla fascinazione dei quadri che ricordano le visioni rutilanti risvegliate dalla lettura di poemi come l’“Orlando Furioso” di Ariosto e dei “romanzi” cavallereschi che narrano le gesta del ciclo carolingio, del ciclo bretone e del ciclo arturiano.

L’arte di Budicin ricorda anche le belle illustrazioni dei libri di fiabe, di storia, di miti e di leggende che corredavano un tempo le riduzioni, per bambini e ragazzi, delle grandi gesta degli eroi, piccoli capolavori di raffinata bellezza. Con l’aggiunta del sale aromatico della sapienza espressiva e dell’armonia estetica, le amate illustrazioni che hanno fatto sognare molti di noi durante l’infanzia e la primissima giovinezza, ritornano nei quadri di Budicin che è realista, quanto fantastico ed onirico nella sospensione temporale dell’attimo glorioso. La gemmazione abissale e grandiosa dell’essere, tradotta in forme malleabili e sempre nuove lungo il cammino della storia, viene catturata e fusa dentro i calchi della fucina interiore ed esteriore dell’artista che, intrecciando fili d’ogni colore e ardendo di passione per gli arazzi ricamati dalla storia con gusto meraviglioso e sicuro, va cantando le imprese degli uomini e degli eroi con la nostalgia per ciò che è stato e che non sarà più. E, più forte della nostalgia, dai cambi di battaglia, dalle ferite inferte e ricevute e soprattutto dal ciclico ritorno della violenza in forme diverse ma sempre uguali nella sostanza, sentiamo levarsi un fremito di tristezza per l’umana incapacità di imparare le lezioni della storia.

Da questa tristezza per le grandi ma labili cose scomparse, belle nel loro avventuroso corso e insieme tragicamente adombrate dalla loro efferatezza e dalla loro effimera temporalità, sgorga l’urgenza di riportare in vita i fantasmi del tempo trascorso, provvedendoli delle maschere, degli abiti e dei corpi eternamente giovani con cui possano ritornare eternamente a combattere l’estrema battaglia della vita: quella contro la morte e l’oblio, ma anche contro la cecità e l’insensibilità umana che del proprio passato tutto dimentica e poco o nulla impara.

 

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