Betsy DeVos lancia la sfida per la scuola libera




La sua nomina è stata per giorni sul filo del rasoio ma, alla fine, è arrivata: Elisabeth “Betsy” DeVos è la nuova segretaria all’Istruzione degli Stati Uniti d’America. Un voto storico quello di martedì al Senato, che ha visto l’intervento diretto del vicepresidente Mike Pence, per legge anche presidente del Senato, per confermarla grazie al suo voto. Già perché i 100 membri del Senato si erano divisi esattamente a metà con due senatrici repubblicane, Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell’Alaska, che hanno votato con i democratici contro la DeVos. Come riportano i media americani, è la 245esima volta nella storia politica degli States che un vicepresidente interviene per determinare l’esito di una votazione, ma la prima in assoluto (in 228 anni) in cui lo fa per confermare un ministro.

Ma perché mai tanto odio contro la donna che Donald Trump ha scelto per guidare il dicastero dell’Istruzione? All’apparenza una delle ragioni (oggettive) sta nella mancanza di esperienza: come ha scritto il New York Times, la DeVos “non ha mai insegnato, gestito, frequentato o mandato i suoi figli in una scuola pubblica e l’udienza di conferma ha dimostrato la sua ignoranza delle politiche educative”. Della contrarietà ci sono però almeno altre due ragioni, che le sono valse una campagna di stampa feroce, capitanata proprio dal Nyt. La prima è che in quanto repubblicana, conservatrice e miliardaria, DeVos è per natura una delle donne più odiate d’America. La seconda è che il suo piano per la libertà educativa, da attuare tramite voucher, è visto da sinistra come un colpo mortale alla scuola pubblica. “Ha donato milioni e aiutato gruppi che vogliono rimpiazzare le scuole pubbliche con scuole private e convertire i dollari dei contribuenti in voucher”, ha scritto sempre il quotidiano newyorchese. Mentre Chris Coons, senatore democratico del Delaware, ha sentenziato: “Perché mai dovremmo dare il benvenuto a un presidente miliardario, che nomina amici miliardari che usano i bambini come strumento per creare il profitto di un settore privato?”.

Invece, al di là dell’inesperienza politica, è proprio per l’idea dei voucher che la DeVos è meritevole di diventare segretaria dell’Istruzione. Sì perché voucher e charter school (scuole finanziate dallo Stato ma indipendenti dalla sua autorità politica) sono due ottime strade per garantire qualità e libertà educativa. Partiamo dalla qualità dimostrata da uno studio di Caroline Hoxby, docente di economia all’università di Stanford e direttrice della branca Economia dei programmi educativi del National Bureau of Economic Research. Nel paper Does competition among public schools benefit students and taxpayers, pubblicato nel 2000 e aggiornato più volte negli anni successivi, Hoxby ha analizzato un campione di scuole di Milwaukee (città del Wisconsin), dell’Arizona e del Michigan, concludendo che nei distretti con charter school o scuole “alimentate” da voucher la qualità complessiva dell’istruzione migliorava anche per le scuole pubbliche, costrette a competere con le prime per offrire un servizio migliore.

Risultati confermati da uno studio del Cato Institute che, analizzando la spesa delle scuole pubbliche e private di città popolose come Phoenix, Los Angeles, Chicago, New York, Washington e Houston, ha concluso che le prime spendono di media il 93% in più per offrire gli stessi servizi. Come ha scritto l’analista del Cato Jason Bedrick, sebbene a Milwaukee (dove il sistema dei voucher è peraltro ultra regolato) gli studenti di scuole private e statali abbiano simili livelli di conoscenze “i critici (dei voucher) dimenticano di ricordare che le scuole private hanno ottenuto quei risultati con circa la metà del costo per ogni studente”. Agli stessi risultati è giunta la fondazione EdChoice, fondata dall’economista premio Nobel Milton Friedman che, con una serie di dimostrazioni empiriche, ha dimostrato che gli studenti che beneficiano dei voucher hanno risultati migliori all’università e che, al contrario di quanto sostengono i liberal, non vengono tolte risorse alle scuole pubbliche. Fra i sostenitori dei voucher si annoverava perfino Steve Jobs che, in un’intervista a Wired, ha dichiarato: “Ho una figlia 17enne che è andata in una scuola privata per alcuni anni prima di entrare in college. Era la migliore scuola che avessi mai visto, una delle migliori 100 d’America. La retta costava 5.500 dollari l’anno, una cifra notevole per molti genitori. Così ho chiesto al tesoriere della California quanto costasse mandare ogni ragazzo in una scuola pubblica e lui mi ha risposto che era una cifra vicina ai 4.400 dollari. Se dessimo voucher di 4.400 dollari a ogni genitore spunterebbero scuole di qualità a destra e a manca”.

Ma c’è un altro fronte su cui il sistema propugnato da DeVos è ancora più degno di nota: la libertà educativa. Già perché la scuola pubblica, anche in America, impone modelli non sempre condivisibili da tutti. Che dire ad esempio dei “gender neutral restroom”, inaugurati in California nel 2013 per gli studenti transgender, o dei corsi di storia Lgbt imposti per legge dallo scorso luglio sempre nel Golden State? Ancor peggio sono alcuni casi di padri, come David Parker del Massachussets o William Baer del New Hampshire, arrestati dalla polizia e rilasciati su cauzione dopo una notte in cella per aver pacificamente protestato contro l’insegnamento di educazione sessuale nelle scuole dei propri figli, rispettivamente di sei e quattordici anni. Oggi questi programmi sono obbligatori in ogni scuola pubblica. Con i voucher, invece, tutti i genitori anche se se non benestanti avrebbero la possibilità di far educare i propri figli in una struttura che rispetti le proprie convinzioni religiose, etiche e morali.

di Matteo Borghi

Fonte: http://www.lanuovabq.it

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