Baima Bollone: dopo una vita di studi, sono convinto che la Sindone sia vera. Lo direi anche se fossi ateo




Una vita intera per la Sindone. Sin da quando, da bambino, i genitori gli parlavano del Sacro Lino. Lui li ascoltava e ne rimaneva affascinato, non potendo certo immaginare che, dopo che nel 1969 una commissione di esperti nominata dall’arcivescovo di Torino aveva ipotizzato la presenza di tracce di siero, sarebbe stato il primo patologo al mondo in grado di analizzarle.

Professor Pierluigi Baima Bollone, come è avvenuta la scoperta di microtracce di materia nel tessuto?

«Analizzando nel ’78 dodici fili sottratti al lenzuolo, e una microcrosta di pochi millesimi di millimetri, prelevata con una équipe di scienziati svizzeri. Ma l’idea era stata mia. Così ho scoperto che si trattava di sangue umano, con tanto di gruppo sanguigno. E poi, con l’aiuto di alcuni specialisti di dna, anche alcune delle sue caratteristiche».

Come mai avevano incaricato lei?

«Negli Anni 70 ero un giovane e pimpante medico legale che si interessava di microtracce: don Coero-Borga mi aveva chiesto se ero in grado di stabilire se le macchie sulla Sindone fossero davvero di sangue. Una sfida che ho colto al volo. Ho portato quei dodici fili nel mio laboratorio di corso Galileo Galilei 22 e li ho analizzati sia con il microscopio ottico, sia con quello elettronico a scansione. E poi la meravigliosa scoperta».

Che sensazioni ha provato quando si è trovato per la prima volta a tu per tu con il Lenzuolo?

«È stato un momento che non potrò mai dimenticare. Ero con altri patologi nella biblioteca di Palazzo Reale che aveva le finestre oscurate da sacchi neri messi da noi. Il Lenzuolo era appoggiato su un lungo tavolo illuminato da una luce radente inclinata di 45 gradi per prelevare i frammenti di stoffa, noi stavamo seduti a turno su un trespolo. Quando è toccato a me, ho avuto l’impressione che l’immagine prendesse corpo. Era come se la vedessi in tre dimensioni, e ho pensato che i miei occhi mi stessero facendo un brutto scherzo».

A quando risalgono i suoi ultimi rapporti con il Sacro Lino?

«Non sono mai terminati. Disponendo ancora di alcuni preparati di allora, con l’aiuto di Grazia Mattutino, una delle più importanti criminologhe, i miei studi vanno avanti. E qualche tempo fa abbiamo individuato le particole d’oro e d’argento riferibili al reliquario che conteneva la Sindone durante l’incendio di Chambéry del 1532».

Con che spirito vive l’Ostensione che inizia oggi?

«Con grande partecipazione emotiva, anche se in questi giorni mi sono trovato in diverse occasioni al suo cospetto in occasione della preparazione dell’evento. Verrò a osservarla quasi tutti i giorni, perché il suo effetto ai miei occhi di pellegrino, più che di scienziato, continua a essere decisamente traumatizzante».

Quanto la sua vita è cambiata dopo quegli studi?

«La Sindone è stata molto più di un semplice oggetto di studio. Oltre a contribuire alla mia formazione umana, ha condizionato favorevolmente tutta la mia successiva attività professionale».

Lei si è definito cattolico apostolico romano: un credo che ha condizionato l’interpretazione data alle sue origini?

«L’educazione che ho ricevuto e il mio senso della spiritualità non hanno niente a che vedere con le convinzioni che ho sulla Sindone. Sono certo, per ragioni razionali e scientifiche, che quello di cui stiamo parlando sia il Lenzuolo con cui è stato avvolto Gesù Cristo duemila anni fa. Lo direi anche se fossi ateo. E tra i ricercatori che credono nella sua genuinità ci sono numerosi ebrei, protestanti e agnostici».

Cosa si sentirebbe di dire a chi ritiene sia un falso?

«Di rimanere nelle sue convinzioni, ma che si sta sbagliando, enunciandogli dettagliatamente tutte le ragioni che fanno propendere per la sua assoluta veridicità. Anche perché il calcolo delle probabilità parla di una possibilità su 225 miliardi che la Sindone sia falsa».

di Maurizio Ternavasio

Fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it

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