Astronomia e arte




L’astronomia oggi scruta, con strumenti sempre più sofisticati e potenti, le profondità dei cieli e degli spazi. Con il telescopio di Hubble questa scienza affascinante è riuscita a catturare lo spettacolo del sistema solare in immagini che sembrano più dei dipinti surreali e favolosi, che delle fotografie. Questa felice contaminazione tra astronomia e arte è al centro di una mostra allestita a Venezia, presso “Palazzo Cavalli Franchetti” sulle rive del Canal Grande, dall’1 febbraio fino al 17 aprile, e intitolata “Our Place in Space”. L’idea della mostra è nata all’interno di un progetto della Nasa e dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) che hanno invitato un gruppo di artisti italiani contemporanei a realizzare delle opere ispirate alle fotografie di Hubble. Ricordiamo che il telescopio di Hubble, così chiamato in omaggio all’astronomo statunitense Edwin Hubble, è stato lanciato nell’orbita terreste bassa (circa 560 km di quota) nel 1990 e, vista la sua posizione esterna rispetto all’atmosfera terrestre che distorce le immagini, è in grado di scattare fotografie di straordinaria definizione e risoluzione anche grazie al bassissimo inquinamento luminoso. La galleria di fotografie e di opere d’arte allestita a Venezia apre finestre e portali di straordinaria bellezza sulle profondità abissali dello spazio celeste. La mostra, dopo la tappa a Venezia, proseguirà il suo viaggio in altre città europee, negli Stati Uniti d’America e in Australia.

Astronomia e arte, dunque, due mondi all’apparenza lontani e inconciliabili, per lo meno oggi, in tempi che si illudono di aver spogliato l’universo di ogni mistero e di ogni rimando al divino. L’astronomia è una scienza, che indaga lo spazio celeste e i corpi che lo punteggiano, con un approccio logico che si ferma ai dati e alle cifre. L’arte invece è creazione che riplasma la realtà e l’essere in forme intuitivamente scoperte e rielaborate. Queste forme a loro volta toccano le corde più sottili della nostra anima, attingendo alle plaghe dello spirito. Tuttavia, pur nella diversità dei fini e dei risultati, scienza e arte possono talvolta incontrarsi e illuminarsi a vicenda, come dimostra la galleria di Venezia. L’astronomia, dilatando la propria conoscenza dei cieli materiali e arricchendo il proprio repertorio di immagini — icone via via più eloquenti della bellezza del cosmo —, può offrire all’aspirazione artistica innumerevoli sollecitazioni a conoscere i cieli spirituali di cui astri, pianeti e galassie sono solo le cifre visibili. Ma paradossalmente, via via che la scienza mette sempre più in luce la complessità e la perfetta connessione delle cose create e dilata il proprio repertorio di “meraviglie” fisicamente disponibili all’uomo, più si indebolisce il senso del divino e la percezione dell’invisibile e dell’infinito. In passato invece, la scienza conosceva e poteva vedere molto di meno, mentre l’uomo, anche solo contemplando la volta celeste in una notte tersa e quieta, si sentiva rapito dall’invisibile e dal mistero.

Che cosa vediamo nelle fotografie realizzate con il telescopio di Hubble e ricreate dagli artisti della mostra? Forme fluttuanti che sprigionano colori così vibranti e intensi da sembrare soprannaturali, filamenti gassosi di luce diffranta in giochi cromatici irreali per magnificenza. È una danza di corpi celesti, di nubi gassose, di aure colorate e lucenti che si dispiega nel buio profondo degli spazi ignoti. Il primo pensiero che sorge, contemplando queste fotografie-opere d’arte, è rivolto alle fonti di tanto splendore.

Può il caso, cieco e caotico, aver creato questa rete infinita di corpi celesti e di “sovrumani silenzi” ricamati con tale sapiente perizia e senso profondo del bello? Chi si ostina a dare una risposta affermativa, o non conosce bene il senso delle parole o vuole accontentarsi della spiegazione più comoda e semplice. Senza Dio, infatti, tutte le questioni, pur impoverendosi fino all’inedia, sono molto più facili da sbrigare: “Dio non esiste, tutto è frutto del caso”, diventa la rapida risposta ad ogni quesito. Se riconosciamo invece che Dio esiste, che ha creato l’universo e che sua è la potestà su ogni cosa, allora la sicurezza dell’uomo artefice vacilla e si arresta innanzi al mistero. Molte domande, emerse dal grembo misterioso di Dio, non trovano più una pronta e agevole risposta, ma esigono una meditazione continua e una costante disponibilità ad esercitare l’intelletto e lo spirito sui massimi sistemi. Dire di “no” a Dio è come costruire un’alta muraglia nell’illusione che essa proteggerà le piccole cittadelle dell’uomo evoluto da ogni dubbio, domanda, fatica e ricerca di senso. Dire di “sì” a Dio — risposta a cui la stessa scienza, nello specifico l’astronomia, dovrebbe indurci con le sue conoscenze ed evidenze —, è invece una risposta che coinvolge integralmente, impegna, incita a cercare e a cercare sempre nel linguaggio della creazione le sillabe di Dio e le orme dello Spirito. E poi ad arrendersi allo stupore, a cercarne le fonti e le ragioni, ad affrontare sempre nuovi quesiti e a svolgerli alla luce della Verità. Le risposte frettolose, superficiali e di comodo, si sgretolano come le scaglie di un tronco d’albero ormai senza radici. Dio è esigente, anche se ci ricompensa sempre oltre i nostri meriti.

La possibilità che ha l’uomo di conoscere con la scienza e la logica il mondo visibile e materiale è giù un dono ricevuto dall’alto. La possibilità di penetrarne l’essere e la ratio suprema poi, è un dono ancora più grande e generoso. Questa corrispondenza tra le leggi del creato e la capacità umana di capirle, questa leggibilità dell’universo nelle sue dinamiche materiali da parte dell’intelligenza umana, e soprattutto la rispondenza perfetta tra la bellezza della creazione e lo sguardo umano che la coglie e se ne inebria, sono in se stesse una prova razionale e insieme spirituale dell’esistenza di Dio. Noi siamo capaci di conoscere il mondo, di riconoscere ciò che è bello e buono e distinguerlo da ciò che non lo è, in definitiva capaci di Dio. E l’incastro è così perfetto ed evidente, che l’uomo a volte si compiace a scompigliare le carte e a non far tornare i conti, per nessuna altra ragione che il gusto della disobbedienza. Sempre e ancora la disobbedienza, la puerile,  atavica e testarda disobbedienza!

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