Alla vecchia schiavitù materiale del manicomio e alla sofferenza senza via d'uscita dalla malattia si è sostituita non una vera libertà, ma un'altra, più sottile forma di schiavitù.

A proposito della riforma Basaglia




I problemi della realtà concreta a volte è bene trattarli senza disquisire troppo e senza adoperare un linguaggio ricercato. I ricami del pensiero e delle parole in questi casi possono nuocere, perché rischiano di velare la nuda e spesso brutale sostanza delle questioni. Per questi casi è bene attenersi all’osservazione e registrazione dei fatti. Fatti che bisogna aver osservato da vicino, se non vissuto in prima persona.

La nostra città, in molte occasioni, continua a vantarsi della riforma Basaglia che la fece divenire alla fine degli anni ’60 l’avamposto della chiusura dei manicomi e dell’inizio di un nuovo, illuminato modo di gestire il problema della malattia mentale. Benissimo. I manicomi infatti erano spesso dei lager ed era possibile internarvi chiunque e per qualsivoglia ragione. Ma nella realizzazione concreta di questo bel progetto come si sono messe le cose?

Mercoledì 28 agosto si è conclusa nel parco di San Giovanni la rassegna “Tutti matti per il cinema”, con proiezioni di diversi filmati. Giovedì 29 agosto ricorreva il 33° anniversario della morte di Franco Basaglia. Tutti continuano a magnificare la sua riforma, e io concordo con essa, ma solo nelle sue originarie intenzioni e nella sua impostazione ideale. Se andiamo a visitare i diversi Centri di Salute mentale fioriti nei distretti della città possiamo verificare direttamente la realizzazione concreta della riforma, o meglio, la sua sconfitta.

Una stringata descrizione basterà a rendere l’idea. A parte il fatto che la nuova visione della malattia mentale elaborata da Basaglia non ha ancora veramente attecchito nella mente delle persone – per quanto ci si riempia la bocca con belle frasi del tipo “siamo tutti un po’ matti” oppure “questi poveri malati devono essere accolti tra noi e noi dobbiamo imparare a viverci fianco a fianco” -, ciò che desta le maggiori perplessità è proprio il modo in cui funzionano questi Centri. Essi, più che un vero luogo di accoglienza e di recupero attraverso cure adeguate, sollecite e amorevoli delle persone malate, sono piuttosto dei nuclei ben coordinati nella creazione di dipendenze da farmaci e nella trasformazione di patologie gravi in patologie ancora più gravi, in cui al male fisico si associa il disagio dell’abbandono, dell’incuria e dell’esclusione. Lentezza nel lavoro, con ambulatori che nella maggior parte dei casi si riducono a un luogo di chiacchierate rumorose a porte chiuse, con file di malati in attesa che infermieri e dottori – solitamente donne, perché la presenza femminile imprime al luogo un marchio sicuro di libertà e di aggiornata modernità – abbiano finito di conversare allegramente. in ambulatorio si stava lavorando. Peccato che da un bel po’ si sentissero solo risate e chiassate da mercato! Gente che va e viene, esce per bere e ritorna per la terapia, poi esce di nuovo a bere e ritorna per una terapia supplementare. Al di fuori dei Centri, nessuna vera assistenza, ma solitudine, alloggi degradati, povertà e spesso violenza, nei confronti degli altri o di se stessi (che cosa ne è stato della primitiva idea di assistenza capillare sul territorio?). E poi, quasi per ogni patologia, un mare di calmanti tipo Tavor e Valium (le cosiddette benzodiazepine), i cui devastanti effetti sono ormai ben noti – a lungo andare peggiorano e cronicizzano proprio i sintomi che dovrebbero curare -, distribuiti a pioggia con assoluta noncuranza.

Sostando in questi luoghi dell’abbandono, del degrado e della disperazione di tante povere famiglie che non sanno più a chi chiedere aiuto, si ha la netta impressione che alla vecchia schiavitù materiale del manicomio e alla sofferenza senza via d’uscita della malattia si siano sostituite non una vera libertà e la fine dei patimenti, ma un’altra, più sottile forma di schiavitù e di dolore. Non pretendo che sia facile tradurre concretamente la lungimirante riforma di Basaglia, ma almeno smettiamola di nascondere la verità e di far credere a tutti che nella nostra città i “matti” vivano felici come in un Paradiso.

4 risposte a “A proposito della riforma Basaglia”

  1. Alberto ha detto:

    Mi sorprendo leggere l’articolo della Scarino, in particolare l’accusa indiscriminata ai centri di salute mentale.Se qualcuno funziona come lo descrive la giornalista deve essere individuato e non generalizzare! Ho letto commenti favorevoli sul centro di Barcola, per esempio, con grossi benefici per gli assistiti, anche grazie a gruppi di automutuoaiuto! Poi tutto è migliorabile ma non si può sparare nel mucchio.
    Sarebbe invece interessante un servizio molto più completo con interviste agli operatori, agli assistiti e ai cittadini. Questo per un problema serio che merita maggior approfondimento e completezza.

    • Stefano Fontana ha detto:

      [Risponde Alessandra Scarino]Gentile Alberto, la ringrazio per l’attenzione riservata all’articolo da me scritto sulla riforma Basaglia. L’argomento è certo complesso, frastagliato e delicato, come lei giustamente sottolinea e certo meritevole di un approfondimento. Per ora tengo a precisare che non ho certo inteso “sparare nel mucchio” e che quanto ho scritto non è il prodotto di un generico “sentito dire” o di una singola e circoscritta esperienza. Dietro le mie osservazioni c’è una conoscenza profonda, vasta e attentamente meditata, vagliata e misurata su ripetuti riscontri diretti. Sono perfettamente consapevole che i propositi ideali di ogni riforma e la sua concreta realizzazione scorre l’immancabile fiume in piena delle incognite, delle resistenze – ideologiche o fattuali –, della lentezza esecutiva e della fisiologica limitatezza di risorse. Ma in questo caso parlare di “mancata” riforma e di “abbandono” non è certo un’esagerazione, pur tenendo fermi la buona volontà e l’impegno di tutte le persone che da decenni operano in questo ambito. Che dire ad esempio del fatto che proprio qui a Trieste, dove è nata la riforma Basaglia, non esista una clinica psichiatrica degna di questo nome? Chi vuole curarsi seriamente deve andare fuori Trieste, a Preganziol ad esempio o al parco dei Tigli di Teolo, tanto per restare nel Triveneto. E questa è solo la punta dell’iceberg. La parte sommersa va più in profondità di quanto si sia portati a credere, vuoi per inesperienza, per disinformazione, indifferenza o interesse di parte. Senza contare poi l’aspetto culturale. Quando si dice che una persona è “assistita”, spesso la conclusione è già tratta. E a volte proprio per il cattivo funzionamento delle strutture, che non aiuta molto le persone ad uscire dal ghetto materiale e spirituale della malattia. Succede anche qui da noi, le assicuro, dove in molti vanno tanto fieri di questa riforma che ha sì chiuso materialmente i manicomi, ma per sostituirli con che cosa?

  2. Michela ha detto:

    Sono d’accordo con Vita Nuova e spero che prima o poi la città comincerà ad essere informata sul fallimenti della legge Basaglia, dovuti al fatto che qui a Trieste si è rimasti fermi al’78 e non si è stati capaci di rispondere alle nuove richieste di salute mentale.
    Quello che scrive Alberto è vero, ma riguarda i malati che ormai si sono cronicizzati, ed accettano di prendere gli psicofarmaci che gli vengono proposti. Altrimenti vengono esclusi dalle varie attività e dagli aiuti economici. Quindi non sono trattati come soggetti attivi in un percorso di guarigione.
    La legge Basaglia ha un difetto d’origine che è l’idelogia secondo la quale il male non esiste, e il malato è una vittima o della della società o della sua famiglia. La famiglia, nel bene e nel male, è il luogo dove il malato ritorna sempre, ed è una risorsa importantisssima nel percorso di guarigione o di sostegno alla malattia. Ma anche la famiglia va sostenuta, altrimenti la guarigione non avviene.
    Inoltre la malattia mentale è cambiata, non ci sono più i personaggi caratteristici che eravamo abituati a vedere in città; oggi ci sono disturbi della personalità, ci sono depressioni, e non c’è neanche una clinica psichiatrica a cui rivolgersi. Ci sono molti giovani con disturbi alimentari ed altri disagi a cui la nostra città non sa offrire aiuto e ci si deve rivolgere lontano. Manca un centro di crisi per accogliere immediatamente i tentati suicidi e i loro familiari.
    Manca la capacità di individuare precocemente i casi di disagio giovanile in modo che non sfocino nella devianza o nel disturbo mentale.

    Mi piacerebbe fare un appello ai nostri amministratori locali, soprattutto a coloro che credono nel valore della famiglia, perchè comincino ad rendersi conto del carico di sofferenza che il nostro sistema psichiatrico sta causando a tanti cittadini.

    • anna ha detto:

      Basaglia è stato un innovatore,un uomo capace di aver rivoluzionato il vecchio sistema manicomiale,dove percosse,maltrattamenti verbali e fisici,….erano gesti normali considerati addirittura terapeutici,……che i centri di salute mentali siano dei luoghi squallidi e malfunzionanti è tutt’altra storia invece.
      Innanzitutto dobbiamo capire il motivo reale per cui un uomo si ammala,gran parte delle volte la colpevole in assoluto è la solitudine in cui versa l’uomo moderno,la perdita della fede spirituale,valori sani che abbiamo costruito e che oggi invece abbiamo distrutto all’insegna della modernità e della tecnologia,…un tempo vigeva l’uso di rimanere in famiglia finchè non ci si sposava,oggi invece si va a vivere da soli (e se non lo fai,sei considerato un povero stupido),……un’alimentazione “chimica” con conservanti tossici,coloranti,grassi iodrogenati,……invece di mangiare cibo sano e biologico (ricordiamo che il nostro cervello si ammala anche perchè facciamo abuso di farmaci,alcool,fumo di sigaretta,cibo con sostanze chimiche e povero di vitamine,…….),…..io credo nella prevenzione delle malattie,è insulso pensarci quando la malattia è già arrivata,…..potremmo tornare alle origini,lavorando i campi (come sostiene il buon Mauro Corona)agricoli (smettendola di giocare a fare i “manager”),riscoprire il valore della preghiera,la vicinanza con Dio,……..amiamo questo nostro Pianeta,difendiamolo a spada tratta,se veramente amiamo Dio….invece di cementificarlo ogni giorno,costruendo inutili centrali nucleari,rigassificatori,…..dimenticando,anzi direi seppellendo Dio per sempre,……cerchiamo di ricostruire quello splendido giardino dell’Eden che Dio ci aveva regalato,……..vedrete uomini,ci ammaleremmo di meno,mentalmente e fisicamente.
      Pace e salute,
      Anna

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