A margine di un caso politico. Sull’‘eccezionale’ identità sociale del cattolicesimo polacco




Ha fatto un certo scalpore, in giro in Europa e in parte anche da noi, il dibattito in corso nel Parlamento polacco per restringere la legge che consente l’aborto nel Paese, attualmente previsto ‘solo’ in alcuni casi tassativamente indicati, e dunque inammissibile a discrezione libera (sulla base di motivazioni psicologiche, emotive o culturali) come accade invece altrove. Lo scalpore è dato dal fatto che per molti si tratterebbe di una questione superata dalla storia o addirittura di un diritto fondamentale violato dal governo, in questo caso. Tutte queste discussioni, sollevate peraltro da gente che più che ragionamenti segue ciecamente slogan ideologici preconfezionati, dimenticano un punto: che la Polonia non è la Francia, e nemmeno l’Italia. E la differenza è data proprio anche dalla diversità, dalla dinamicità e dal protagonismo del cattolicesimo polacco rispetto agli altri. Se un simile progetto di legge è potuto arrivare nella massima sede parlamentare è perché il tema della vita non è mai uscito dalla società civile e dall’identità del laicato cristiano prima di tutto. Certo, le radici cristiane sono rimaste sempre vive nella memoria nazionale del Paese ma se si trattasse solo di una pagina di storia o di coltivare un ricordo del passato non influenzerebbero comunque il dibattito pubblico, e meno che mai quello politico. Invece accade e accade proprio perché i cristiani vivono da protagonisti e non hanno bisogno di farsi dettare l’agenda dalla mentalità che va per la maggiore: presenti in numerose realtà e aggregazioni laicali, di preghiera, di dottrina, di formazione e di cultura, sono parte integrante e costitutiva della società polacca nel suo insieme senza per questo rinunciare al loro modus vivendi e al ruolo che al suo interno rivestono. E’ questo che fa in definitiva del Paese, religiosamente, “l’eccezione polacca”, come la definiscono alcuni sociologi, volendo sottolineare la ‘strutturale’ controtendenza della vitalità religiosa polacca rispetto all’Occidente e all’Europa latina in particolare. Non è quindi questione solo di Giovanni Paolo II, ‘il Grande’, ma di una storia collettiva che si rinnova e si alimenta continuamente alle fonti di sempre leggendo il presente alla luce della propria identità millenaria e della propria vocazione per cui anche se cambiano i pastori a livello religioso o le guide a livello civile restano saldi e intatti la fede, lo spirito e la trasmissione di quanto ricevuto in eredità, per dirla con San Paolo. Da qui si capisce come e quanto il Cristianesimo influenzi il linguaggio pubblico, la cultura popolare fino ai gusti e al sentire sociale. Proprio Wojtyla diceva che una fede che non si fa cultura non è una vera fede professata perché manca di qualcosa di fondamentale: la disponibilità alla testimonianza coerente del credo che si fa missione e annuncio appassionato. Ecco, questo in Polonia lo si vede subito: chi va nel Paese prima o poi incontra ‘per forza’, anche se non lo volesse, la testimonianza e la presenza cristiana, non solo nei tempi forti dell’anno, dove comunque si respira un’atmosfera che invano si cercherebbe altrove. Visitare Cracovia in Quaresima, per esempio, è un’esperienza indimenticabile che lascia il segno e fa comprendere dall’interno quanto da queste parti la fede sia naturale, quasi come l’aria che respiri. Mentre da noi il tempo liturgico è stato completamente sovrastato da quello profano al punto che praticamente nulla farebbe pensare un turista che si arriva al culmine del mistero centrale della fede, qui gli spazi dello spirito e gli incontri sono talmente tanti che anche una persona venuta da un altro pianeta non potrebbe non chiedersi che cosa stia mai accadendo di tanto particolare. Così, quando poi si passa dal piano spirituale al piano temporale nessuno – o quasi – trova improvvisamente ‘forzate’, ‘eccessive’ o ‘insostenibili’ le iniziative che si portano coerentemente avanti, da quelle bioetiche a quelle più strettamente socioculturali, all’interno dello stesso e medesimo discorso di evangelizzazione, per così dire. Questo non significa che la secolarizzazione non avanzi, o che non ci siano ostacoli, al contrario: i segnali in questo senso purtroppo non mancano ma nel complesso per ora non riescono a cambiare il vivace scenario complessivo dove invece i grandi testimoni di fede del secolo passato (su tutti, come non ricordare Santa Faustina Kowalska e, ad esempio, sul tema le sue opere di riparazione per l’aborto procurato raccontate in prima persona nel suo Diario?) hanno lasciato in eredità un magistero ancora molto conteso quanto amato e imitato. La lezione che arriva insomma da Varsavia – indipendentemente da come finirà la questione in discussione – allora è quantomai chiara, parafrasando a modo nostro un vecchio adagio: se vuoi che la fede orienti realmente la tua vita, con tutto ciò che ne consegue, dalle relazioni in famiglia come nell’ordine della società, fino alla costruzione pubblica del piano civile, fa’ in maniera che non sia la prassi concreta della vita altrui ad orientare il modo abituale in cui pensi, e vivi, la tua fede.

Una risposta a “A margine di un caso politico. Sull’‘eccezionale’ identità sociale del cattolicesimo polacco”

  1. vidovich Mario ha detto:

    E’ un bene per l’Europa che nel suo cuore ci sia un Paese come la Polonia da cui tanto abbiamo da imparare, soprattutto la difesa delle proprie radici che tanto bene ci ha donato.

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