Per decenni il disfacimento del Magazzino Vini è stato un po' il simbolo, negativo, di una città incapace di approfittare delle occasioni che le venivano offerte. Ora il recupero dell'edificio arriva in un momento in cui Trieste sembra aver trovato la voglia di mettersi in gioco

Trieste: il Magazzino Vini finalmente restituito alla Città




di Umberto Bosazzi

(anticipazione dal prossimo numero di Vita Nuova)

Può un rudere diventare, se non il simbolo, il paradigma di una città?

A Trieste, sì. Per quattro decenni, il Magazzino Vini si è stagliato, marcendo giorno dopo giorno, lungo le rive. Chi vi passava accanto, dopo l’iniziale indignazione per lo stato in cui versava la struttura, alla lunga vi si abituava. Non faceva caso al tanfo, non faceva caso alla decadenza. E, in ultima analisi, non faceva caso alle numerose proposte di riutilizzo succedutesi da quando, alla fine degli anni Novanta, durante una conferenza stampa indetta per trattare di tutt’altro argomento, l’allora assessore alla Cultura Roberto Damiani ebbe a dire che, sì, forse si poteva pensare a qualcosa per togliere di mezzo quell’edificio.

Si ragionava ancora in lire, il digitale terrestre era meno di un’ipotesi, Lapo Elkann stava ancora tranquillo, di Matteo Renzi neppure l’ombra.

Insomma, un’era glaciale fa.

Da allora, il Magazzino Vini sembrava pronto a trasformarsi in qualsiasi cosa dettasse l’estro del progettista, oppure dell’amministratore di turno. I triestini si sono abituati a sentire adoperare il termine “vincolo” senza comprenderne appieno il significato, e ad attribuire alla Soprintendenza il ruolo del “cattivo” di turno, che Palazzo Economo ha ricoperto con una dedizione quasi totale (va detto anche questo).

Poi, l’entrata in scena della Fondazione CrTrieste ha dato il via alla soluzione del caso. Ci sono voluti anni, beninteso, perché il progetto fosse approvato, diventasse esecutivo, e facesse approdare a Trieste “Eataly”: e in ogni caso, indipendentemente da quello che Farinetti combinerà a Trieste (già c’è chi, prima ancora di capire cosa sia Eataly, sta praticando lo sport in cui il triestino eccelle: la critica preventiva), la città dovrebbe tirare un sospiro di sollievo.

Perché se è vero che il disfacimento del Magazzino Vini poteva essere preso a simbolo, negativo, di una città ripiegata su se stessa e che non riusciva ad approfittare dalle prospettive che le passavano davanti agli occhi, è altrettanto vero che il recupero dell’edificio arriva in un momento in cui, per tutta una serie di ragioni, Trieste sembra intanto aver trovato la voglia di mettersi in gioco (se poi questo si tradurrà in qualcosa di concreto, è un altro discorso) soprattutto in alcuni settori. Ad esempio, quello del Turismo. E non è un caso che Eataly sbarchi al Magazzino Vini, ovvero strategicamente vicino (o meglio: non lontano) dagli imbarchi delle crociere.

C’è poi un altro problema, non da poco e la cui urgenza abbiamo spesso segnalato da queste colonne. Il Magazzino Vini, così come l’Ospedale Militare e la Sala Tripcovich, sono gli unici edifici ristrutturati con successo ed utilizzati. Ad onor del vero, ci sarebbe anche il Salone degli Incanti, ma l’ex Pescheria, che pure ospita numerose iniziative, ancora non ha trovato quella collocazione che, stante l’importanza della struttura, e gli investimenti necessari, le sarebbe spettata quasi di diritto: tanto che da tempo, verrebbe da dire da quando è stata inaugurata, si sta parlando di una sua riconsiderazione totale.

Insomma, Trieste è ad un bivio: da qualche tempo, pare sia più semplice scegliere quale delle strade prendere per arrivare ad uno sviluppo che non sia destinato a rimanere sulla carta. Il percorso non sarà facile, e sarà costellato di grandi opportunità ma anche di piccole cose, quotidiane: che non debbono essere sottovalutate in quanto meno appariscenti. Uno stabile recuperato, e messo a disposizione della città, quand’anche in periferia e non in pieno centro, rappresenta la volontà di muoversi e di guardare al futuro. Come tale, un’opportunità da non perdere.

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